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Di Ines Miriam Marach

Riadattamento di una lezione tenuta, presso la Comunità ebraica di Bologna all’interno del ciclo “Donne ed ebraismo” nell’aprile 2007.
Le movimentate e a volte rocambolesche vicende di Donna Gracia Mendes, la Seniora, figura femminile emblematica del XVI secolo, sono state fonte d’ispirazione per tanti scrittori di romanzi di avventura; la sua vita è sicuramente stata un romanzo ed il suo essere marrana, cioè appartenente a due identità così differenti e differenziate l’ha consegnata alla storia come modello attivo di donna, forse precursore dell’emancipazione femminile e vivace protagonista all’interno della società del suo tempo. 
Al di là dei contributi romanzati, che solo talvolta si avvalgono di fonti storiche, non mancano, nella storiografia specifica sulla cultura ebraica rinascimentale, e su quella sefardita, gli apporti di studiosi come Roth, Bonfil, Leoni, Yoli Zorattini, per citarne solo alcuni, che hanno sicuramente ricostruita e ben documentata l’interessante ed intrigante figura di Grazia Mendes.
Roth ne ha anche pubblicato una biografia, ormai introvabile, ripresa da una studiosa dell’Università di Urbino, uscita nel 2004.

Chi è allora questa donna che ha cercato di cambiare il destino del popolo ebraico nel XVI secolo?
Grazia Ha-Nasì nasce nel 1510 (o forse nel 1511 secondo alcune fonti) in Portogallo, da una famiglia di probabile provenienza spagnola in seguito all’Editto di espulsione del 1492; il percorso di vita del suo gruppo familiare, come di tanti altri, rientrò in quel evento che Cecil Roth definisce il più romanzesco episodio della storia umana: il marranesimo (il fenomeno del cripto giudaismo) che per quanto ancora abbastanza enigmatico, costituisce infatti un capitolo fondamentale e allo stesso tempo tragico, della storia degli ebrei della diaspora in molti paesi dell’Europa occidentale, soprattutto fra XVI e XVII secolo.
La complessa identità dei marrani (gli anussim,” i costretti “) era caratterizzata da forme ben determinate di esercizio della vita religiosa, basate sulla dissimulazione di un'appartenenza proibita, quella ebraica e sulla simulazione di una falsa appartenenza, quella cristiana.
Il termine marrano che lo storico spagnolo Carobaroja intende riferito ad un gruppo di persone non del tutto omogeneo nel tempo e nello spazio è un antico termine spagnolo dispregiativo dalla radice araba, con cui s’indicava il maiale giovane, attribuito prima ai mussulmani, poi agli ebrei, alludendo alla prescrizione sia per gli uni che per gli altri di considerarlo animale impuro, associandoli quindi a questo.
L’uso del termine partì dalla regione di Castiglia in epoca medievale, luogo in cui si verificarono le prime conversioni forzate.
In Italia si affermò nel secolo XVI con l’arrivo dei profughi portoghesi dove prese accezione comune dell’ebreo che dopo essere stato battezzato tornava ad essere ebreo apertamente.
Roth fa coincidere l’origine del marranesimo portoghese col fenomeno dei nuovi cristiani, nato in Spagna verso la fine del 1300.
In seguito la Riconquista da parte degli stati cristiani, che dominarono poi tutta la penisola iberica, la condizione degli ebrei andò gradualmente peggiorando fino ad arrivare al momento in cui le intense predicazioni domenicane portarono ondate di violenza che travolsero le juderias, i quartieri ebraici di Castiglia e di Aragona; le fonti riportano come più cruenta la strage di Siviglia perpetrata il mercoledì delle ceneri del 1391.
Fu così compromessa in modo irrimediabile la vita delle comunità ebraiche spagnole e poste le basi per una serie di limitazioni all’autonomia degli ebrei, che nel volgere di un secolo sarebbero sfociate nell’espulsione del 1492, decretata da Isabella e Ferdinando dopo la riunificazione dei regni di Castiglia ed Aragona.
In questo contesto nasceva il problema dei converso, i nuovi cristiani, convertiti a forza o spontaneamente per salvarsi la vita, che costituirono per le autorità cristiane un elemento di disagio ideologico.
Gli esuli ebrei cacciati dalla Spagna nel 1492 si sparsero in ogni angolo del bacino del Mediterraneo, in gran numero si recarono oltremare, soprattutto nei paesi mussulmani, ma anche in alcuni stati italiani, seppure in piccola percentuale; è quanto sostiene Roberto Bonfil che scrive che la loro consistenza numerica fu piuttosto trascurabile tranne forse all’inizio quando gruppi abbastanza elevati numericamente stazionarono in Italia in transito per l’oriente.
Ma la maggior parte varcò il confine e si fermò in Portogallo in cui gli ebrei erano ancora abbastanza tollerati, fino al 1497, quando fu imposto il battesimo forzato;
pena pagata per non adempiere a tale ordine era l’espulsione.
Se per alcuni storici (Roth per primo) il termine marrano è sinonimo di converso secondo altri, il vero fenomeno del marranesimo, inteso proprio come cripto giudaismo, dilagò in Portogallo quando quasi tutti, per salvare anche le proprie attività, presero il battesimo continuando però segretamente, nel proprio interno, ad essere ebrei.
Con l’introduzione nel 1536 dell’Inquisizione anche in Portogallo ed il conseguente rischio di essere scoperti e processati, la maggior parte dei marrani partirono alla volta dei Paesi Bassi (Amsterdam e Anversa furono i centri più importanti) e dell’Italia.
Roma, ed Ancona (nello Stato pontificio), Venezia, Ferrara e più tardi Livorno, furono i luoghi in cui maggiormente si concentrarono le comunità marrane.
Anche alla famiglia di Gracia, gli ha Nasì (i principi), come a tutti gli ebrei rifugiati in Portogallo, toccò la sorte del battesimo forzato imposto il 4 marzo 1497; Gracia nacque quindi col nome cristiano di Beatriz de Luna.
Nel 1528 sposò in Portogallo Franzisco Benveniste Mendes, ricco mercante marrano ma forse anche rabbino, con cerimonia pubblica di rito cattolico, preceduta da quello ebraico celebrato privatamente in tutta segretezza, quindi con regolare ketubbà che ne fissava anche la dote.
Ciò provocò parecchie complicazioni di carattere giuridico di cui accennerò soltanto ai fini della narrazione degli eventi riguardanti la sua vita e la sua storia.
Seguì poco dopo la nascita di una figlia, Reyna.
Nel 1536, anno dell’Inquisizione Gracia rimase vedova in giovane età.
Il marito, in una dichiarazione testamentaria prima della morte, affidò le sorti della moglie nonché la gestione della metà del proprio patrimonio al fratello Diogo, uomo abile negli affari, con interessi nei Paesi Bassi, che alla morte di Francisco gestì e controllò anche tutte le sue finanze.
A seguito l’istituzione dell’Inquisizione, Gracia lasciò il Portogallo con la figlia Reyna, il nipote Joao Miguez (alias Yosef ha-nasì), la sorella Brianda e qualche altro membro della famiglia, diretta ad Anversa, dove la comunità marrana portoghese
(in prevalenza mercanti di spezie ) trovò in parte rifugio.
Ad Anversa Gracia ebbe contatti col medico Amato Lusitano (alias Giovanni Rodrigo Amato) che troverà in seguito anche a Venezia e a Ferrara.
Dopo questo primo passaggio già maturava in lei il desiderio ed il progetto di ritornare apertamente all’ebraismo.
Poco dopo il trasferimento dei beni ad Anversa, Gracia affiancò il cognato dimostrando una grande capacità imprenditoriale e stabilendo alleanze con le più facoltose famiglie dei Paesi Bassi tanto che le fu proposto dalle alte sfere, un matrimonio combinato fra la figlia Reyna e un rampollo cristiano, richiesta che ella rifiutò categoricamente, ma che dovette scontare fuggendo da Anversa.
I legami di Grazia con la famiglia del marito divennero sempre più stretti quando nel 1540 Diogo Mendes sposò la sorella Brianda con la quale ebbe una figlia.
Diogo emise un documento in cui Grazia e la figlia erano ugualmente beneficiate dal patrimonio di Francisco. Alla morte di Diogo nel 1542 Gracia divenne amministratrice del patrimonio dei Mendes, cosa che indispettì non poco la sorella.
Nel 1546, Grazia lasciò Anversa e passando da Lione approdò a Venezia, crogiuolo di genti e di culture dove l’ondata migratoria sefardita era prevalentemente marrana; nel 1541 venne infatti creato il ghetto vecio per gli ebrei levantini residenti temporaneamente in città, in realtà ex marrani tornati all’ebraismo nell’Impero turco. Qui scoppiò la disputa fra Gracia e la sorella per il patrimonio dei Mendes che finì con la denuncia da parte di Brianda alle autorità veneziane con l’accusa di essere giudaizzante.
Dopo essere stata imprigionata Gracia o Beatriz come la si vuol chiamare, nel 1549 raggiunse Ferrara, importante polo di riferimento per tutti gli esuli, chiedendo garanzie per la sua permanenza ai reggenti e dove iniziò il cammino di ritorno all’ebraismo.
A Ferrara la clemenza degli Estensi nei confronti degli ebrei era ormai risaputa; infatti avevano trasformato, nel corso di pochi anni i loro territori in luoghi di rifugio in cui attirare mercanti portoghesi provenienti da Anversa e dalla Turchia, tendenza già concretizzata con l’arrivo degli esuli dalla Spagna prima e quelli provenienti dalla Boemia nel 1532, a cui furono accordati gli stessi privilegi (riguardanti soprattutto lo svolgimento delle proprie attività) del già stabile gruppo italiano.
Difficile capire quando giunsero i primi marrani portoghesi (mercanti per lo più, ma anche medici, rabbini, artigiani) probabilmente fra il 1531 e il 1536 quando in Portogallo fu stabilita in modo definitivo l’Inquisizione.
Nel 1538 Ercole II, che confermò i decreti già emessi dai suoi predecessori in favore degli ebrei spagnoli, delegò al marchese Moreto “ampia facoltà e piena autorità di poter convenire circa li datii et franchigie … con tutti li singuli spagnoli et parimenti Con tutti i singuli che haverano la lingua spagnola e con tutti i singuli che haverano la lingua portugallese…”
Questo fu il clima che Gracia trovò al suo arrivo a Ferrara; nel breve periodo della sua permanenza, si è già accennato, abbandonò l’identità cristiana e tornò all’ebraismo studiando i testi tradizionali sotto la guida del rabbino Soncino.
Importante per la sua formazione ebraica fu l’amicizia con Benvenida Abravanel, grazie la quale si avvicinò allo studio della mistica ebraica.
Ma sia per Gracia che per tutti gli altri marrani approdati a Ferrara e nelle altre città italiane la condizione di doppia identità religiosa aveva sicuramente creato non pochi problemi, disagi psicologici e spirituali che sconvolgevano la vita di ogni singolo individuo.
“Il marrano giudaizzante (cito lo storico Yovel) visse in alienazione non solo nell’ambiente cristiano ma anche nella propria intima essenza, che non poteva esprimersi nella sua vita attuale; e così, in effetti la sua vita e la sua natura rimasero in reciproca opposizione”.
Gracia quindi percepì questi disagi provandoli lei stessa e si adoperò per alleviare le sofferenze dei suoi corregionali ad aiutarli ad uscire dalla clandestinità e recuperare la religione d’origine; divenne benefattrice della comunità, cooperando per affermare la cultura sefardita, che aveva già grandi esponenti come l’umanista Abraham Farissol e la famiglia Abravanel, Isacco e Yeudà Abravanel, filosofo ed esegeta noto anche come Leone ebreo, giunti a Ferrara dal regno di Napoli dopo il 1542.
In particolare fu proficua la collaborazione che Gracia ebbe col tipografo Avraham Usque a cui offrì la sua disponibilità finanziaria per pubblicare opere tradotte dall’ebraico in giudaico - spagnolo, al fine di renderle accessibili alla popolazione sefardita, in particolare ai marrani che stavano per tornare all’ebraismo.
In particolare una traduzione della Bibbla in lengua espagnola (conosciuta poi come la Bibbia di Ferrara, di cui ne esistono ancora due esemplari dedicati, uno a Gracia e l’altro ad Ercole II), a cui fece seguito un Lybro de Oracyones de todo l’anno che sempre Avraham Usque pubblicò con Yom Tov Attias.
Avraham Usque insieme a Shemuel Usque (di cui non è accertata la parentela) furono due personaggi rappresentativi della cultura sefardita ferrarese dell’epoca.
Anch’essi godettero dei privilegi accordati dai reggenti di casa d’Este che permise loro non solo di essere i promotori dell’attività tipografica ferrarese ma anche di essere intermediari fra gli Estensi e la nazione portoghese; non per niente Shemuel Usque definì Ferrara come il porto più sicuro e identificò nella protezione di Ercole II “la via che conduce alla consolazione finale di Israele”.
Sempre Shemuel pubblicò un testo in lingua portoghese “consolacao as tribolacaoens de Israel” (Consolazione delle tribolazioni d’Israele), narrazione in chiave metaforica della travagliata storia del popolo ebraico.
Anche Ercole II fu un personaggio chiave nella vita di Gracia e di tutti i marrani ferraresi, lo fu anche riguardo gli eventi di Ancona di cui si parlerà più avanti.
Il 23aprile 1555 mentre ad Ancona infuriavano le persecuzioni Ercole II, su richiesta specifica di Gracia, emise un decreto sottoforma di salvacondotto ad alcuni profughi portoghesi e spagnoli ai quali accordò le stesse concessioni che i papi avevano concesso ai portoghesi di quel luogo.
A questo decreto di Ercole II ne seguì un secondo che invitava i mercanti levantini di Ancona di abbandonare la città promettendo loro accoglienza, motivata dal desiderio di “ empir questa nostra cittade di mercanti spetialmente di quella natione”.
Non sembra comunque che l’afflusso di portoghesi da Ancona a Ferrara sia stato ragguardevole.
Gli storici sono comunque concordi nell’affermare che i due decreti di Ercole II vanno interpretati come un aperto e coraggioso rifiuto alla politica repressiva di Paolo IV che sembrò assommare in sé i più fanatici aspetti della controriforma essendo anche il promotore, con l’emissione della Bolla Cum Nimis Absurdum, dell’istituzione dei ghetti e fautore della revoca dei privilegi accordati dai suoi predecessori ai marrani portoghesi di Ancona che furono i primi a soffrire del suo zelo religioso.
Il 30 aprile 1556 ritirò le lettere di protezione che aveva concesso sperando di fare di Ancona il centro di smistamento dei traffici col levante e ordinò immediati provvedimenti contro di loro.
I marrani pertanto predisposero la raccolta di denaro per ottenere una tregua ma tutto fu vano.
Fra tutti i processati, con l’accusa di essere cristiani e di giudaizzare in privato,
25 di loro, 24 uomini ed una donna (Donna Mayora), furono mandati sul rogo.
Fu inutile per loro negare di non avere mai ricevuto il battesimo.
Tutti sapevano che negli ultimi 60 anni nessun ebreo dichiarato aveva potuto vivere in Portogallo. Altri 26 si finsero pentiti e furono deportati a Malta, il rimanente trovò rifugio fuori dello Stato pontificio.
All’epoca degli avvenimenti di Ancona, Gracia e sua figlia, che nel frattempo aveva sposato il cugino Joao Miguez (Yosef ha Nasì) avevano abbandonato Ferrara e si erano già trasferite a Costantinopoli; inserite all’interno sia della corte del Sultano Selim II, che della comunità ebraica si prodigarono a rinnovarla e rinvigorirla con l’istituzione di sinagoghe e accademie di insegnamento e altre attività sociali.
Questo suo importante ruolo favorì l’intervento del Sultano che in data 9 marzo 1556 indirizzò al Paolo IV una lettera arrogante in cui protestava contro il disumano trattamento nei confronti dei marrani, alcuni dei quali erano suoi sudditi e ne chiedeva la liberazione.
I fatti che seguirono sembrano essere unici nella storia. Grazia Mendes si rese conto che l’unica arma che possedevano gli ebrei per opporsi all’odio del papa era quella economica; con l’aiuto del sultano organizzò un completo boicottaggio del porto di Ancona, dirottando su Pesaro tutti i traffici mercantili e commerciali con l’Oriente.
Secondo Roth il tentativo fallì soprattutto perché gli ebrei di Ancona si appellarono per revocare la decisione che avrebbe scatenato l’odio del Papa contro di loro. E ancor peggio, il Duca di Urbino che vide svanire un suo sogno, decretò l’espulsione dei marrani dal suoi territori.
Riguardo l’intervento di Gracia su Ancona, Ioshua Soncino, nota autorità rabbinica dell’epoca e suo tutor a Ferrara scrisse:
“La signora incoronata, il glorioso diadema delle genti d’Israele, vita signorile, gloria incoronata, bella ghirlanda, la più saggia delle donne d’Israele, con la sua forza e ricchezza tese una mano ai poveri per salvarli e renderli felici in questo mondo e nel prossimo”.
Per concludere non mi sembra azzardato mettere in relazione la figura di Grazia con Ester. Entrambe cambiano le sorti del loro popolo; Ester lo salva dallo sterminio decretato dal perfido Amman, Grazia, il cui nome ebraico dopo il ritorno definitivo all’ebraismo fu Hanna (nome composto dalle iniziale delle tre mizwot importanti della donna, challà, nerot e niddà, con cui sembra voler affermare la propria ebraicità) lotta per la salvezza dei marrani portoghesi, aggiudicandosi il primato di essere la donna più benefica e amata del mondo ebraico di quel tempo.
Nel già citato testo di Shemuel Usque l’autore stesso afferma che se Grazia non avesse lasciato il Portogallo e non avesse svolto la sua missione in favore dei marrani, la storia del popolo ebraico di quel periodo sarebbe stata diversa.

Breve Bibliografia
Opere generali
C. Roth, Storia dei Marrani, ristampato da Marietti edizioni, Milano 2003
 B. Netanyahu, The Marranos of Spain, New York 1966
R. Bonfil, Gli Ebrei in Italia nell’epoca del Rinascimento, Sansoni Editori, Firenze 1991
A. Leoni, La Nazione ebraica spagnola e portoghese negli Stati Estensi, Luisé editore, Rimini 1992
Gli Ebrei in Italia, a cura di C.Vivanti, 2 vol., Einaudi,Torino 1996-97
L’Inquisizione e gli ebrei in Italia, a cura di M.Luzzati, Roma- Bari 1992
 Y.H. Yerushalmi, Dalla Corte al Ghetto. La vita, le opere, le peregrinazioni del marrano Cardoso nell’Europa del 600, Milano 1991
Opere specifiche sui conversos
Ebrei e cristiani nell’Italia medievale e moderna. Conversioni, scambi e contrasti,
A cura di M. Luzzati, M. Olivari e A.Veronese, Roma 1988
L’identità dissimulata: Giudaizzanti iberici nell’Europa cristiana dell’età moderna,
a cura di P.C. Yoli Zorattini, Firenze 2000
Ebrei: identità e confronti, “Zachor, V (2001-2002)
I. Yovel, Spinosa and other Eretics, 2 vol. Princeton 1989
Opere specifiche su Donna Grazia Mendes
C. Roth, Danna Grazia Ha Nasì ed il Duca di Nasso (non più reperibile)
M.G. Muzzarelli, Beatrice de Luna, vedova Mendes, alias Donna Grazia Nasi: un’ebrea influente. In Rinascimento al femminile, pp. 83-116, Editori laterza 1991
M. Racanelli, Grazia Mendes, L’identità marrana al femminile, Ancona 2004