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Di Rav Alberto Sermoneta

Dal primo sabato che segue la fine di Pesach per sei sabati consecutivi, fino alla vigilia di Shavu’ot, in ogni Sinagoga del mondo vengono letti i pirqè avot ossia le massime o i capitoli dei padri; una raccolta di cinque capitoli del trattato mishnico chiamato appunto avot, che si trova nell’ordine dei Neziqin – i danni, più un sesto capitolo chiamato avot de Rabby Meir.

Questo periodo, di sei settimane, va dal sabato seguente la festa di Pesach, fino al sabato che precede quella di Shavu’ot e la lettura di questi capitoli di mishnà, considerati fra i massimi insegnamenti dei Chakhamim, sono una forma di preparazione dell’ebreo, alla Donazione della Torà; una sorta di elevazione comportamentale che conduce l’uomo, l’ebreo, ad una dimensione tale da metterlo nella condizione indispensabile per ricevere la Torà.
Se da una parte contiamo l’ ‘omer, dalla seconda sera di Pesach, fino a Shavu’ot per quarantanove sere, considerando ciò, un conto alla rovescia, per ricevere la Torà, dall’altra ci prepariamo spiritualmente, attraverso una serie di insegnamenti dei Maestri della Mishnà.
I sei “ordini” della Mishnà sono articolati in “trattati – massakhtot” ed ogni “massekhet è a sua volta suddivisa in “peraqim – capitoli”; essi si dividono in paragrafi, chiamati mishanajot (sing. mishnà).
La prima mishnà del primo capitolo, può essere considerata una presentazione dell’opera, non solo inerente il trattato in questione, ma di tutta la Mishnà che è chiamata anche “torah she be’al pè” la “legge orale”.
In questa mishnà, infatti ci viene spiegato il modo in cui da Moshè che ricevette la Torà sul Monte Sinai, si arriva fino agli uomini della Kenesset ha ghedolà – la Magna Congregazione organo legislativo dell’ebraismo post babilonese, in modo ininterrotto; ma soprattutto, che Mosè non ricevette solo la Torà she bi khtav (la Torà scritta) ma anche la Torà orale, trasmettendola così a tutto il popolo ebraico, nelle generazioni successive, fino ai Maestri del Talmud.
Ci fanno notare i commentatori, a proposito di ciò che dice il testo della I mishnà:
“Moshè qibbel Torà mi Sinai umsarah li Joshu’a…..” “Mosè ricevette la Torà dal Sinai e la trasmise a Giosuè, Giosuè agli Anziani e gli Anziani ai Profeti e costoro agli uomini della Magna Congregazione ecc..”
Che non fu soltanto una trasmissione teorica, cioè di insegnamento, ma fu realmente una trasmissione diretta, cioè nel racconto biblico del Deuteronomio (cap.31), dietro ordine divino, Mosè investì pubblicamente Giosuè della sua saggezza e del suo spirito profetico; allo stesso modo Giosuè fece con gli anziani ( i Giudici ) che governarono il popolo ebraico, nei tempi immediatamente successivi a lui.
Costoro, i Giudici furono succeduti dai profeti di Israele: Isaia, Geremia ed Ezechiele e gli ultimi tre di essi, Chaggai, Zaccaria e Malakhì, furono anche fra i primi uomini della Magna Congregazione, che fu insediata nel primo periodo del II Tempio di Gerusalemme e che concluse la sua attività con coloro che furono fra i primi chakhamim del Talmud.
Ecco quindi che vi è un catena ininterrotta della trasmissione chiamata “orale” da Maestro ad allievo, come ancora oggi avviene, nelle nostre scuole e nelle Jeshivot - accademie rabbiniche.
La mishnà in questione ci insegna quelli che sono i tre principi fondamentali della tradizione ebraica cioè:
“Siate attenti nel giudicare, fate molti discepoli e costruite una siepe intorno alla Torà”; questi tre principi possono tranquillamente essere riassunti in tre concetti fondamentali che sono “la giustizia, l’insegnamento e l’osservanza della Torà”.
La giustizia è fondamentale alla amministrazione del popolo, può fra l’altro rientrare anche in quelle che sono chiamate “le sette leggi di Noè”, riguardando così, non solo il popolo ebraico ma l’umanità intera;
l’importanza invece di avere molti discepoli è fondamentale per un Maestro, in quanto i discepoli sono considerati dei figli e come per costoro, è detto che la corona per un uomo è la figliolanza, così per un maestro, avere molti discepoli è la corona della sua saggezza.
La siepe intorno alla Torà è importante per preservarne tutta la sua importanza e per impedire che la si possa trasgredire.
Fanno notare i commentatori che nel testo della Torà (Levitico 18 v.30) è scritto:
“…e osserverete le mie leggi” testualmente “e osserverete le mie osservanze” quindi spiegano i nostri Maestri “fate una custodia alla mia legge” cioè mettete in guardia i tribunali di fare degli aggiustamenti, decreti e recinti per non infrangere le regole della Torà.
Nell’Avot di Rabby Natan è detto:”fai un recinto alle tue parole come il Santo Benedetto Egli sia fece alle Sue parole!”
Da qui il “sejag la Torà”.