Questo sito usa i cookie di terze parti per migliorare i servizi e analizzare il traffico. Le info sulla tua navigazione sono condivise con queste terze parti. Navigando nel sito accetti l'uso dei cookie.


Discorso del Presidente della Comunità per la Giornata della Memoria 2009 (25 gennaio 2009)

Autorità, amici tutti, siamo giunti alla IX edizione della Giornata della Memoria. Vorrei fare alcune considerazioni su questo evento che vede scuole, enti pubblici, associazioni riflettere e dare rilievo al ricordo della Shoah.

La prima considerazione naturalmente è che questo è un evento positivo perché riflette la percezione ottimistica che si possa imparare dalla storia e influenzarne in meglio il suo corso futuro. La Torah (Deut 32,7) insegna: “Ricorda i tempi antichi, cercate di comprendere gli anni dei secoli trascorsi (cioè il corso della storia diremmo noi oggi), interroga tuo padre e ti racconterà, i tuoi vecchi e te lo diranno”. L’ebraismo ha sempre avuto un forte senso della storia (insegnamento di Rav Della Rocca) e non crede che il passato sia qualcosa di inutile, ma bensì esso è un ingrediente essenziale per affrontare il futuro. A differenza della saggezza di Plutarco, secondo cui la storia si ripete, il pensiero ebraico pensa che la storia si possa indirizzare, e che le nostre azioni spingono il mondo verso il bene o verso il male. Dunque la Giornata della Memoria è un' occasione per trarre dal passato notizie e principi che ci portino a un futuro più umano.
 
La seconda considerazione è che a mano a mano che la Shoah è più lontana nel tempo e sono sempre meno i testimoni, con la loro capacità di trasformare con esempi concreti e pathos numeri e informazioni tanto terribili da essere difficili da interiorizzare, occorre trovare un modo per continuare a ricevere l’insegnamento di questo passato e per continuare a trasmetterlo, un po’ come da 25 secoli fa il libro di Esther sulle storie delle persecuzioni di quei tempi.
 
La terza considerazione è che il successo di questa giornata, e i molti studi dedicati al tema negli ultimi decenni, hanno associato alla Shoah la patente di male assoluto. Questo spinge chiunque abbia una sofferenza che vuole sia condivisa dall’opinione pubblica, o una causa per la quale vuole attenzione, alla tentazione di paragonare quella sofferenza alla Shoah, un male che non si discute. Pur nella coscienza che vi sono state, e vi sono terribili persecuzioni e sofferenze, e che la crudeltà ancora convive in ogni essere umano insieme alla bontà, questi paragoni hanno il solo inutile effetto di banalizzare la Shoah e il nazifascismo. Quando sentiamo uomini di cultura e autorevolezza come il Card. Martino dire che Gaza è come un lager, senza pensare che a Gaza la popolazione è triplicata in 20 anni, mentre questo non succedeva nei lager, dobbiamo riflettere che queste dichiarazioni alla lunga non solo non aiutano a identificare la drammaticità e le cause della sofferenza di chi sta a Gaza, ma servono anche a banalizzare l’intero capitolo del nazifascismo. Per questo gli uomini di buona volontà dovranno interrogarsi su come rispettare le sofferenze che la storia genera, senza banalizzare quella che ricordiamo oggi.
 
Dunque richiamando questi tre temi noi non indugiamo nella memoria, ma crediamo che essa sia necessaria per un futuro migliore. Per questo dobbiamo ragionare su come preservare il suo messaggio universale nel tempo, e al contempo vigilare perché tale messaggio non sia banalizzato e abusato.
 
Il Museo e la Comunità da anni cercano di trovare mezzi per far conoscere questi temi attraverso la cultura, e di trovare percorsi personali o di intere comunità che aiutino alla riflessione e diano spunti per il futuro, offrendoli alla città. In questo contesto si inserisce la mostra su Carlo Levi di oggi, ed il concerto di musiche sulla Shoah che si svolgerà oggi pomeriggio alle 16 in Comunità.
 
Tra i ritratti che vedrete qui oggi vi è quello che Carlo Levi fece del suo amico, scomparso di recente, Vittorio Foa. Vittorio Foa, parlando di Primo Levi, ricordava che “bisogna ricordare il Male…: quando si pensa che uno straniero, o un diverso da noi, è un Nemico si pongono le premesse di una catena al cui termine c’è il lager...”
 
E vorrei concludere con le parole di Martin Niemoeller, pastore evangelico deportato a Dachau, che ci spiegano bene perché farsi carico di evitare il ripetersi del passato incombe ad ognuno di noi:
 
" Prima vennero per gli ebrei
e io non dissi nulla perché
non ero ebreo.

Poi vennero per i comunisti
e io non dissi nulla perché
non ero comunista.

Poi vennero per i sindacalisti
e io non dissi nulla perché
non ero sindacalista.

Poi vennero a prendere me.
E non era rimasto più nessuno
che potesse dire qualcosa."
 
Grazie