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Di Rav Alberto Sermoneta

Con le due parashot di Mattot e Mas’e’ si conclude il libro di Bemidbar ed anche il viaggio di quaranta anni del popolo ebraico nel deserto.
Prima di iniziare il libro di Devarim, ultimo libro della Torà, Mosè vuole impartire delle regole che riguardano i sentimenti personali di ogni essere umano, come per esempio le promesse ed i giuramenti; le città rifugio che il popolo avrebbe dovuto costruire una volta entrato nella Terra di Israele e che avrebbero permesso, a chi avesse compiuto un omicidio involontario contro una persona, di rifugiarsi in esse ed essere immuni dall’eventuale riscatto di sangue da parte dei parenti del morto.

Nella prima parashà leggiamo della guerra furiosa che il popolo ebraico sostenne contro i midianiti, acerrimi e storici nemici; mente nella seconda, è riportato il lungo elenco delle tappe che il popolo fece nei quaranta anni di percorrenza del deserto.
Ci si chiede quale sia il motivo di questa elencazione. I nostri Maestri rispondono dicendo che in ogni tappa vi è un particolare comportamento del popolo ebraico: sia positivo che negativo ( purtroppo nella maggior parte delle volte).
Mosè, nel ricordare una ad una queste tappe ha voluto rammentare, senza offenderlo direttamente, quale fosse stato il comportamento di ciascuno, o forse dei loro padri, facendo in modo che le trasgressioni fatte una volta, non si ripetessero nel futuro.
Questo shabbat è il secondo dei tre sabati, che vanno dal digiuno del 17 di Tamuz al 9 di Av.
Questo periodo è chiamato “ben ha mezzarim – fra le ristrettezze”, ed è tra i più oscuri della storia del popolo ebraico. Il 17 di Tamuz infatti fu aperta la breccia fra le mura di Gerusalemme, che diede accesso all’interno della città ai Babilonesi prima e ai Romani poi; ed in seguito, come è ben noto, seguì la distruzione del Bet ha Mikdash.
Questi giorni sono di semi lutto, in quanto in un crescendo graduale ci si astenie sempre di più dalla partecipazione a feste mondane, dall’indossare capi di abbigliamento nuovi, fino ad arrivare al primo del mese di Av, in cui secondo alcuni usi (fra cui quello italiano) ci si astiene dal radersi la barba e dal mangiare carne all’infuori dello shabbat.
Molti sono i minhaghim riguardanti le forme di lutto da osservare in questo periodo e molti sono anche gli usi in questi tre sabati, riguardanti la lettura delle Haftarot – i brani profetici che si relazionano con la parashà o con l’occasione del periodo o della giornata.
Secondo il minhagh Sefardita e alcuni gruppi di Ashkenaziti, da dopo il digiuno del 17 di Tamuz, nei sabati successivi si leggono tre haftarot di ammonimento (telatà de pur’anutà) e dal sabato successivo al 9 di Av, per sette sabati consecutivi (shivtà de nechamtà) sette haftarot di consolazione, iniziando proprio dal capitolo 40 del profeta Isaia che si apre con le parole, Nachamù nachamù ‘ammì – Consolate, consolate il mio popolo).
Il rito Italiano subisce delle leggere differenze, in quanto le haftarot di ammonimento si risolvono solamente nel sabato che precede il 9 di Av (chaddà de pur’anutà – una di ammonimento), chiamato appunto shabbat chazon – sabato in cui si legge chazon
– primo capitolo del libro di Isaia che inizia con le parole chazon Ieshajahu – visione di Isaia e solamente tre di consolazione (telatà de pur’anutà) dal sabato dopo il digiuno del 9 di Av.
Questo sabato leggeremo quindi, secondo il rito italiano il brano di Giosuè cap. 19 verso 51; capitolo 20 e capitolo 21 fino al verso 3, mentre i sefarditi leggeranno il brano di Geremia capitolo 1e il capitolo 2 dal verso 1 al verso 3 compreso.
Possa il Signore Iddio consolarci della distruzione del Tempio di Gerusalemme e renderci meritevoli, di gioire della sua ricostruzione, amen.

Shabbat shalom