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Di Rav Alberto Sermoneta

La parashà che leggeremo questo shabbat, va jezzè, narra la fuga di Giacobbe verso la terra dove abitava suo zio Labano, per fuggire dalla vendetta di Esaù, al quale aveva sottratto la primogenitura.
Nel primo brano si narra del famoso sogno della scala, che egli fa durante il viaggio di fuga; nel momento in cui si sveglia, fa una promessa al Signore in cui chiede di assisterlo per tutta la durata del viaggio.
Fra le cose che egli chiede, la più importante è quella di proteggerlo e farlo tornare a casa di suo padre “be shalom – in pace”.
I commentatori fanno notare che le richieste dei Giusti si limitano ai bisogni strettamente personali, materiali e morali, senza particolari ricchezze.

Non dimentichiamoci che secondo una tradizione cabalistica, il termine Shalom è uno dei nomi di D-o; Giacobbe chiede che non si allontani mai da lui, nonostante la diaspora dove vivrà per venti anni, a contatto con il paganesimo, la tradizione del monoteismo istituita da Abramo suo nonno.
Per quanto riguarda le richieste materiali, Giacobbe, chiede al Signore di fornirlo solo di pane per sfamarsi e di un abito per vestirsi e in grazia di ciò, riconoscerà a Lui la decima parte di tutti i suoi averi.
Giacobbe ritornerà dopo venti anni e sarà ricco e benedetto moralmente, tanto da ricevere dal Signore Iddio, il cambiamento del proprio nome, da Giacobbe in Israel, quindi capostipite del popolo ebraico.

Shabbat shalom