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Di Rav Alberto Sermoneta

Nella terza parashà del libro di Devarim – Ekev - che leggeremo questo shabbat, Mosè continua i suoi di discorsi di ammonimento e di raccomandazione al popolo di avere un comportamento esemplare, sia durante il viaggio e le guerre di conquista della Terra di Israele, sia durante la vita sulla Terra stessa.
Nella parashà troviamo il secondo brano dello Shemà, brano che va sotto il nome di “premio e castigo” per coloro che osservano o non osservano le mizvot, comandate dalla Torà.
Fanno notare i nostri Maestri che “  ve ajà im shamo’a tishme’ù el mizvotai….e avverrà se ascolerete bene i miei precetti che Io vi comando oggi, per amare il Signore vostro D-o e servirlo……” il motivo dell’osservanza delle mizvot è la dimostrazione dell’amore verso D-o e la riconoscenza che Gli dobbiamo per tutto il bene che Egli ha fatto e continua a fare per il nostro popolo.

Gli dobbiamo per tutto il bene che Egli ha fatto e continua a fare per il nostro popolo.
Quindi, secondo questa opinione, il motivo dell’osservanza delle mizvot, è una forma di riconoscenza al Signore, nello stesso modo di come dobbiamo comportarci con i nostri genitori ai quali dobbiamo riconoscere la gratitudine di averci dato la vita.
La cosa che più salta agli occhi in queste parashot del libro di Devarim è la quantità di volte in cui viene ripetuto il verbo “la’asot – fare, osservare”.
Mosè si raccomanda al popolo di osservare le regole della Torà; l’ebraismo non è soltanto studio, non è soltanto teoria ma è soprattutto azione: se non si osservano le mizvot è inutile studiare la Torà.
La Torà infatti deve essere studiata per essere insegnata per poi essere osservata: “lilmod u lelammed, lishmor ve la’asot”, questo è alla basa della nostra tradizione.
I rabbini della halakhà, definiscono coloro che studiano ma non mettono in pratica – Apikorsim - termine che ha assonanza con il termine greco- epicurei- i quali caldeggiavano la cultura ma non ne mettevano in pratica i suoi principi.
Ad un certo momento della parashà, troviamo una domanda retorica che Mosè rivolge al popolo: “ma A’ Elohekha shoel me ‘immakh? Ki im le irà….- cos’è che il Signore D-o tuo chiede a te? Altri che il timore..”
Da questa domanda i Maestri della Mishnà, hanno anagrammato la parola “ma – che cosa” con “meà – cento”; cioè la lettura del testo andrebbe fatta. “100 il Signore ti chiede per temerlo”.
Cioè, il Signore chiede all’ebreo, per dimostrare amore e timore a Lui, di benedirLo 100 volte durante la giornata.
Le benedizioni quindi, che durante il giorno arrivano al numero di 100, non sono altro che la riconoscenza a D-o per ciò che Egli fa per l’umanità; ossia una forma di richiesta di permesso alla Sua potenza, nel momento in cui vogliamo soddisfare un nostro desiderio, come mangiare qualcosa o godere di un qualcosa che appartiene al mondo, quindi di proprietà divina.

Shabbat shalom