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Di Rav Alberto Sermoneta

La parashà che leggeremo questa settimana, inizia con una mizvà chiamata dai maestri del Talmud “Viddui biccurim – la confessione delle primizie”.
Ogni ebreo, giunto in Terra di Israele, aveva il dovere di offrire un sacrificio, come ringraziamento per il prodotto abbondante, nel momento della raccolta delle primizie.
Prima di offrire questo sacrificio, che veniva preso dalle mani del sacerdote, l’offerente, doveva recitare una formula che viene definita viddui – confessione.
In effetti non si tratta di una vera confessione, ma della storia del nostro popolo, dalla sua nascita:
“…Mio padre era un arameo nomade (è riferito a Giacobbe, che prima di diventare Israel, fu al servizio per venti anni di suo zio-suocero Labano, chiamato anche arameo) e scese in Egitto e abito lì con un piccolo gruppo, di lì divenne un grande popolo……..”

Con questo modo di fare, colui che offriva il sacrificio e ringraziava D-o per avergli mandato un abbondante raccolto, ricordando la propria origine e per questo motivo esprimeva al Signore, gratitudine per averlo reso libero, avergli dato una terra ed averlo reso anche ricco e benestante.
I Maestri del Talmud, pongono la loro attenzione al fatto che è scritto nel testo della Torà: “ e il Sacerdote prenderà il manipolo dalla tua mano e lo porrà davanti al Signore tuo D-o”.
Essi sostengono, che le mani sono le uniche membra del corpo umano diverse da tutte le altre: le mani possono essere poste in alto, più del capo, in basso all’altezza dei piedi.
Esse si usano per fare ogni cosa, per rubare, per uccidere; si mettono a contatto con cose impure ed a contatto con luoghi poco sicuri.
Ma le mani del Sacerdote, debbono essere a contatto solo con cose sacre, come dice il salmo “alzate le vostre mani verso il sacro e benedite il Signore”.
Per cui le nostre mani possono anche indirizzarsi a cose di particolare sacralità, ad esempio sulla mano sinistra, indossiamo i Tefillin (sulla destra per chi è mancino), che rappresentano la sacralità della Torà e sempre con l’uso delle mani facciamo la benedizione sul pane, che è considerato il simbolo della benedizione divina. Con le mani, ponendole sul capo dei nostri figli, invochiamo su di loro la benedizione divina e, sempre con le nostre mani studiamo e leggiamo i testi sacri della Torà.
Possiamo quindi sostenere che l’uomo, attraverso l’uso delle sue mani, esegue anche e se vuole – soprattutto – cose buone, come quella di fare le più grandi mizvot che la Torà ci richiede, nei confronti del prossimo che sono: la zedakà (opere di giustizia buona), e la ghemilut chasadim (opere di bene morali) e chesed ve emet (opere di grande misericordia nei confronti dei morti che debbono essere assistiti per dar loro una degna sepoltura ebraica).
Queste tre grandi mizvot hanno una forte rilevanza, da parte del Signore nei nostri confronti e permettono di godere della sicurezza della vita buona nel Mondo a venire in quanto, a differenza delle altre mizvot che prevedono una qualche ricompensa da parte di chi le riceve, verso chi le fa,
esse non prevedono altri che la ricompensa da parte di D-o.
Shabbat shalom