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Di Rav Alberto Sermoneta

Questo shabbat leggeremo due parashot, le ultime prima di Rosh ha Shanà e, siccome Rosh ha shanà è conosciuta anche con l’appellativo di Jom ha din (giorno del giudizio), niente come queste due parashot poteva essere l’ideale per farci riflettere.Infatti in esse, considerate il penultimo discorso di Mosè, troviamo scritte una serie di ammonimenti, anche pesanti al popolo, che possono essere considerati il sunto delle kelalot che abbiamo letto lo scorso shabbat nella parashà di Ki tavò.Ad un certo momento Mosè comanda al popolo dicendo di osservare tutte le mizvot della Torà, in quanto essa è “la nostra vita e la lunghezza dei nostri giorni, per cui non deve essere considerata una cosa lontana, tanto da non potervici arrivare, ma è vicina, molto più di quanto si possa immaginare:“ki karov elekha ha davar meod be fikha uvilvavekhà la’asotò” “poiché è molto vicina la COSA nella tua bocca e nel tuo cuore per metterla in pratica”

Quante volte sentiamo dire che le mizvot sono cose di altri tempi e che oggi, che ormai abbiamo passato il 2000, sono superate da cose ben più importanti!Eppure, se non fosse per l’osservanza di esse, oggi non si sentirebbe parlare del nostro popolo che sui libri di scuola.Essa è stata nell’antichità il nostro baluardo ed è tutt’ora, l’ideale che il popolo di Israele deve inseguire se, nonostante i continui tentativi di globalizzazione, vuole mantenere la sua identità.L’espressione con cui inizia la prima delle due parashot, vuole essere una espressione di incoraggiamento: “attem nizzavim hajom cullekhem” “voi siete presenti oggi, tutti, davanti al Signore vostro D-o!”.Spiega Rash”ì che Mosè, essendosi accorto che il popolo era rimasto sbigottito dalla durezza delle kelalot, vuole consolarli, usando parole di speranza per tutte le generazioni; per questo è scritto “ha jom” – “oggi”, ciò a dire che quell’”oggi” vale per tutti i secoli in cui, il popolo seguirà l’osservanza della Torà e delle mizvot.In ogni periodo della nostra storia il nostro popolo ha subito persecuzioni, che hanno tentato di annientarlo; persecuzioni più o meno coincidenti con ciò che troviamo scritto nel brano della parashà che abbiamo letto la settimana scorsa, ma nulla però, è riuscito a cancellare, mantenendo seppur in piccola parte, il nostro popolo.Un ebreo romano, morto da qualche mese, reduce dal campo Aushwitz, in un incontro in tempio, pochissimo tempo prima di morire, davanti ad una folla di ebrei che si accalcavano in sinagoga, disse: “io ho sconfitto Hitler; egli voleva la distruzione totale, mia e del mio popolo, ma ora noi siamo ancora qui e lui con la sua gente non ci sono più”.Forse anche Mosè, dopo le profezie delle kelalot, vedendo il popolo attonito e impaurito, ha voluto in un certo senso riportare la volontà divina, che nonostante i molteplici tentativi di annientamento, nessuno riuscirà mai a distruggere il popolo di Israele.
Shabbat shalom