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Di Rav Alberto Sermoneta

“ ...VE ELLE HA MISHPATIM ASHER TASIM LIFNEHEM”
“ ...E QUESTI SONO GLI STATUTI CHE PORRAI DINNANZI A LORO”.
Nel commentare questo versetto della parashà di Mishpatim, versetto con cui essa inizia, Rashì racconta un midrash in cui il Signore dice a Mosè:
“dopo averti consegnato le Tavole della Legge, con i Dieci Comandamenti e tutta la Torà, non ti salti in mente di consegnarla al popolo di Israele, così come Io la consegno a te, ma tu Mosè hai il dovere di rendergliela il più possibile comprensibile, in modo tale che essi, comprendendola, possano anche accettarla e osservarla.

Per questo motivo Mosè, non fa altro che diluirla nel tempo e soprattutto commentarla e spiegarla a tutto il popolo durante i quaranta anni di permanenza nel deserto, proprio come si fa quando si dà da mangiare ad un bambino che prima di introdurgli il cibo in bocca lo si fa a pezzettini piccoli e si fa in modo che questi lo mastichi e lo ingoi assimilandolo nel migliore dei modi.
Rashì spiegando questo passo, usa proprio questo esempio poiché in quel momento, il popolo era considerato un bambino, ossia, era appena uscito dall'Egitto, dalla schiavitù e non aveva facilità di comprensione, sia del monoteismo sia anche di come accettare una legge che proviene da D-o.
Anche seguendo l'insegnamento di Rashì, qualche secolo dopo, Rabby Josef Caro maestro spagnolo vissuto fra la seconda metà del ‘500 e la prima del ‘600, codificò tutte le regole di halakhà, mettendole per iscritto in modo ordinato e cronologico.
Questa raccolta di regole di halakhà, tuttora usata dal popolo ebraico come codice normativo valido secondo tutte le tradizioni, è chiamato SHULCHAN 'ARUKH che significa “ Tavola apparecchiata”, in quanto, proprio come su una tavola imbandita, è facile trovare tutto ciò di cui si ha bisogno senza alcuno sforzo. Nello Shulchan 'arukh, noi troviamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno per amministrare la nostra vita dal punto di vista della normativa ebraica.
Molti si chiederanno, perché proprio questo paragone così materiale per spiegare delle regole religiose, anche abbastanza “sacre” nel loro complesso?
A questo si risponde che la vita dell'ebreo, sia materiale che spirituale, non ha un distacco, una separazione da un “mondo” all'altro; non vi è confine tra la spiritualità e la materialità, ma tutto, se vogliamo, può essere materiale e spirituale insieme.
Tant'è vero che all'interno dello Shulchan 'arukh, troviamo ogni tipo di regola che riguarda la vita dell'ebreo, da quella più materiale a quella più spirituale.
Nella Parashà, proprio come nello Shulchan 'arukh, troviamo tutte le regole che debbono vigere fra esseri umani, i rapporti fra lavoratore e il suo datore di lavoro, fra uomo e animali del campo e fra uomini liberi che amministrano la loro società attraverso delle regole e delle leggi in un modo tale che fino a quel momento, pochi erano i popoli che mettevano in atto una giustizia tanto organizzata ed amministrata.
Il Ba'al ha Turim, commentatore del ‘300 famoso per le sue interpretazioni attraverso l'uso della ghematrià, interpreta il termine HA MISHPATIM come un anagramma e spiega dicendo che tale vocabolo, che significa leggi o diritto oppure giustizia, può essere l'indicazione di come un amministratore di giustizia ha il dovere di comportarsi; egli dice: HA MISHPATIM è l'acronimo di Ha dajan Mezzuvvè Sheja'asè Pesharà Terem Ia'asè Mishpat: un giudice ha dovere di fare un accordo fra le parti prima di emettere una sentenza, quindi l'obbligo di tentare un accordo all'interno di una fase processuale è considerato migliore che iniziare un processo ed arrivare ad emettere una sentenza finale.

Shabbat shalom