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Di Rav Alberto Sermoneta

Nella parashà di questa settimana leggeremo le prime sette piaghe che il Signore mandò contro l’Egitto, per convincere il Faraone a liberare il popolo ebraico dalla schiavitù.C’è da notare una cosa interessante a proposito della prima piaga:Mosè ed Aronne, si presentano al Faraone per annunciargli che se non avesse liberato il popolo ebraico, il Signore avrebbe tramutato in sangue il fiume Nilo e tutte le altre sorgenti d’acqua.
La cosa curiosa è che D-o dice a Mosè e ad Aronne di recarsi sul far del mattino dal Faraone, perché sta uscendo dall’acqua, mentre il lettore è abituato ad immaginarsi che i due si fossero presentati al Faraone, nella sala del trono, ad una certa ora del giorno e, magari, al cospetto dei suoi sudditi.

I commentatori si chiedono il motivo di questa visita, di buon mattino, sulle rive del Nilo, quando il Faraone stava uscendo dall’acqua.A ciò si fa notare che, sia il Nilo, sia il Faraone erano considerati dagli egiziani delle divinità e, come tutte le divinità che si rispettino, non dovevano mai trovarsi o farsi vedere in atteggiamenti poco ufficiali.Che cosa faceva il Faraone di buon mattino nel fiume?Pensandoci bene, il Faraone era un uomo potente e importante, ma pur sempre un uomo, con tutti i suoi bisogni fisici e fisiologici che hanno tutti gli esseri viventi; gli esseri viventi, quelli “comuni” hanno necessità di fare i propri bisogni fisiologici quando si alzano dal letto, prima di andare in ufficio, ma il Faraone era una divinità e per questo non poteva far sapere alla gente “comune” che anche lui aveva le stesse necessità di ogni altro essere vivente mortale.E’ per questo motivo che il Signore chiede a Mosè e ad Aronne di parlare con lui in un momento per lui particolarmente delicato, facendogli notare, nonostante la sua auto considerazione di divinità che con il Signore D-o onnipotente nessuno può competere.Il Faraone è completamente nudo, ha compiuto i suoi bisogni corporali, non può usare nessun atto di stregoneria o di regalità contro i due, è per ciò che non risponde alla minaccia, ma è costretto a tacere, incassando così la prima sconfitta.

Shabbat shalom