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Di Rav Alberto Sermoneta

Questo shabbat, come quello scorso, leggeremo due parashot in cui si tratteranno moltissime argomentazioni, tutte però inerenti il comportamento del popolo ebraico, sia nella sua genericità, sia nella sua particolarità.
Nella prima parashà, quella di acharè mot, si narra, nella maggior parte di essa, della cerimonia che il Sommo Sacerdote doveva svolgere nel Santuario il giorno del Kippur e le varie espiazioni che doveva compiere affinchè, secondo l’ordine divino, il popolo si purificasse dinnanzi a Lui.
E’ legata a questa narrazione, una serie di regole particolarmente forti riguardo le unioni proibite, ossia quelle unioni che, secondo la Torà, ma anche secondo la morale della società, bisogna astenersi dal compiere: le unioni incestuose, ossia le varie possibilità di accoppiamento carnale con consanguinei e parenti vari.

Lo stesso problema, ben più particolareggiato, viene affrontato nella seconda parashà che leggeremo: Kedoshim, in cui si affronterà, oltre a quello appena accennato, anche la problematica della distinzione del popolo ebraico dagli altri popoli.
“Kedoshim tihjù ki kadosh anì A’ Elo-hekhem – Siate distinti voi poichè sono santo Io, il Signore vostro D-o”.
Con queste parole inizia la parashà; parole già pronunciate sul Monte Sinai dal Signore nel momento in cui il popolo si accingeva a ricevere i Dieci Comandamenti.
Sostengono commentatori, che essa sia stata pronunciata nei momenti successivi alla promulgazione del Decalogo e che in essa si ritrovano tutti i principi basilari di esso.
Questa interpretazione è data dal fatto che la parashà di kedoshim, inizia con le parole:
“…E parlò il Signore a tutta la congregazione dei figli di Israele….”; ogni volta che la Torà usa il termina ‘edà – congregazione, vuole esprimere la condizione di totalità di popolo, nella stessa condizione di come avvenne proprio al momento della promulgazione del Decalogo.
Proprio in quel giorno, tutto il popolo era raccolto indistintamente intorno al monte, ad ascoltare la voce divina che pronunciava i Dieci Comandamenti, quindi in quello stesso giorno, Iddio comandò questa parashà, tanto sono fondamentali i suoi principi.
Questo shabbat leggeremo il terzo capitolo dei pirkè avot; nel secondo paragrafo è detto a nome di Rabby Chananià vice Sommo Sacerdote:
“Prega per il benessere del governo perché se non fosse per il timore di esso, ognuno ingoierebbe vivo l’altro”.
Fa molto riflettere questa massima di estrema attualità; magari ce lo avessimo un governo!
E poi noi dobbiamo pregare per un loro benessere quando la situazione generale del paese è a pezzi, proprio per il loro benessere.
Bisognerebbe che i Pirkè avot venissero studiati anche da coloro che ci governano, per poter poi metterli in pratica nell’esplicare le loro mansioni di governanti.
Magari le mettessero in pratica, tutti vivremmo nel benessere!

Shabbat shalom