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Di Rav Alberto Sermoneta

“….Ecco Io sto inviando a voi il profeta Elia prima del giorno del Signore grande e terribile”

Con queste parole si conclude il brano profetico (haftarà) che leggeremo sabato mattina, quel sabato che precede la festa di pesach e che a differenza di tutti i sabati dell’anno prende il nome da una delle ultime parole della haftarà stessa.
I Maestri del popolo ebraico, soprattutto coloro che si occupano di grammatica, fanno notare che la parola shabbat è femminile per cui il suo attributo dovrebbe essere al femminile ghedolà e non gadol. Per questo motivo il termine gadol sta ad insegnarci qualcosa che non può significare il grande sabato.
Gadol, spiegano alcuni maestri è riferito al miracolo avvenuto in Egitto, quel sabato. Vediamo di comprendere meglio: il giorno della settimana in cui gli ebrei uscirono dall’Egitto, il 15 di Nissan era giovedì.
La Torà al capitolo 12 dell’Esodo, comanda di prendere un capretto maschio di un anno integro, il dieci del mese, cioè cinque giorni prima della festa e conservarlo fino al quattordicesimo giorno del mese, per poi, nel pomeriggio, macellarlo, raccoglierne il sangue per tingerne gli stipiti e gli architravi delle porte delle loro case e mangiarne la carne arrostita a fuoco vivo, mentre l’Angelo della morte, passando oltre le case degli ebrei, avrebbe ucciso tutti i primogeniti egiziani.
Quel giorno in cui avrebbero dovuto far tutto questo sarebbe stato il sabato 10 di Nissan. Quale grande miracolo è avvenuto in quel giorno? Al verso 22 del capitolo 8 dell’Esodo troviamo scritto:
“…..e disse Israele ecco noi offriremo ciò che ai loro occhi è abominevole, forse che per questo non saremo lapidati?” Rispose loro il Santo Benedetto Egli sia: “ora vedrete il miracolo che opererò per voi” andarono ed ognuno prese il loro capretto, per custodirlo fino al 14 del mese, secondo come è comandato dalla Torà.
Quando gli egiziani si accorsero di ciò, volevano far vendetta, ma le loro viscere si contorsero e bruciarono come il fuoco e non fecero niente al popolo ebraico. Per questo motivo, a causa del miracolo avvenuto in quel giorno, questo sabato è chiamato Shabbat ha gadol – il sabato del grande miracolo”. (vedi siddur Rashì cap. 352; col bo cap. 47 e minhaghè Maharil nelle aggiunte).

Secondo invece l’opinione dello Shibbolè ha leket (Rabby Avraham ben Zidkijà ha Rofè) rabbino romano del 13° secolo, la motivazione di questo aggettivo ha gadol, starebbe nel fatto che, la comunità che partecipava alle preghiere di quel sabato si attardava ad uscire dal tempio, per ascoltare la lezione che il rabbino ( ha gadol) impartiva riguardo la festa di pesach ed avevano per questo motivo, la sensazione che quel sabato fosse più lungo e più importante degli altri.
Secondo l’opinione di Avudharam, questo sabato è chiamato ha gadol, perché in esso il popolo ebraico ha ricevuto la prima mizvà e per questo ha meritato di entrare nella terra di Israele.
Nell’antichità vigeva un minhag alla vigilia di shabbat ha gadol, che consisteva nell’impastare e cuocere un grosso pane, chimato challat ‘ anì o challat bet ha keneset per due motivi:
il primo challat ‘anì (challà del povero), in concomitanza con l’azzima che è chiamata lechem ‘oni (pane della povertà) che verrà mangiata dalla sera in cui celebreremo il seder ed essendo ancora nel periodo in cui è permesso mangiare il pane, vi è un accenno a ciò che di lì a poco lo sostituirà; l’altra definizione è forse perché l’ultimo pane prima che inizi il divieto, lo si usa mangiare proprio nel Bet ha keneset.
Vi è ancora un altro uso che è quello di aumentare la lettura di vari piutim (composizioni poetiche inerenti una giornata particolare) durante le preghiere di questo shabbat, nei quali viene descritta l’importanza della festa, le sue regole ed il modo di osservarle. C’è ancora un altro uso che è quello di leggere e commentare la Haggadà in Sinagoga, dal punto in cui è detto ‘avadim ainu fino a lechapper ‘al col ‘avonotenu cioè la parte centrale del racconto della haggadà, per far esercitare la gente alla sua lettura che deve avvenire le due prime sere della festa.

La festa di Pesach che se D-o vorrà inizieremo a festeggiare dal prossimo Sahabbat per otto giorni, ci insegna che, come i nostri padri in Egitto, furono meritevoli di uscirne e acquisire così una libertà incondizionata, grazie alla loro grande fiducia nel Signore, anche noi, di anno in anno dobbiamo mantenere la stessa fiducia in D-o, nella Sua grandezza nel farci meritare la gheullà shelemà – la redenzione completa.
All'inizio della recitazione della haggadà è noto a tutti che il più piccolo della famiglia, ponga le famose quattro domande, note con il nome di “ma nishtannà? In cosa differisce questa sera dalle altre sere?”.
Facendo attenzione alla lettura della haggadà, ci accorgiamo che vi sono altre quattro domande, fatte dai quattro figli, il chakham il saggio, il rasha' il malvagio, il tam il semplice e il sheenò jode'a lishol colui che non sa chiedere.
Analizziamo l'importanza di queste domande:
Il saggio chiede “cosa sono queste testimonianze, queste leggi e questi statuti che il Signore nostro D-o ha comandato a voi?”
La sua domanda, mette in luce la sua grande fiducia in D-o (il Signore nostro D-o); però, se da un lato è pronto a riconoscere la supremazia e il credo in D-o, dall'altra, chiede spiegazione riguardo l'osservanza delle mizvot. Basterà spiegargliele e insegnargliele che il gioco è fatto; egli è pronto ad osservarle se le conosce.
Differente è invece il comportamento del malvagio, che chiede: “cos'è quello che state facendo?” Con disprezzo e distanza, sia dal credo che, tanto più dall'osservanza delle tradizioni.
Egli non ha un margine di trattativa; forse conosce ma si tiene ben distante dall'accettare ciò.
A questa domanda, l'unica risposta (consigliataci dai rabbini della Mishnà) è la sfida; ossia: “se questo che stiamo facendo non ti riguarda, sappi che se fossi stato anche tu in Egitto, sicuramente non ne saresti uscito libero”.

La libertà ottenuta dai nostri padri è fondata quindi, dalla massima fiducia in D-o e dalla grande predisposizione ad osservarne i Suoi precetti.
Ancora più diversa è la terza domanda – quella del figlio semplice o addirittura troppo tontolone - “cos'è questo?”; per costui è prevista una risposta in cui, con somma pazienza e spirito di sopportazione va ripetuta la storia del nostro popolo e il racconto dell'uscita dall'Egitto.
Il quarto figlio, apparentemente non fa alcuna domanda; la haggadà lo chiama per questo “colui che non sa domandare”. Da ciò che invece ci viene suggerito dai Maestri, “tu dovrai aprirgli la bocca”, risulta che, anche per merito nostro e per ciò che gli diciamo o gli mostriamo, alla fine dovrà pur chiedere qualcosa.
“Lo ha baishan lamèd – Il timido non studia” ammoniscono i maestri del pirkè avot; non studia perchè si vergogna di chiedere.
Per questo motivo, la grandezza di un insegnante sta nello stimolare la curiosità dell'alunno fino a far sì che faccia domande.
Tutta la nostra tradizione si basa sul chiedere e sul rispondere, così per questo il protagonista della cena del seder non è chi racconta dell'uscita dall'Egitto, bensì il bambino o i bambini che pongono domande.
Nella prima parte dello Shemà Israel, troviamo scritto “ve shinnantam le vanekha – e lo insegnerai ai tuoi figli”; la mizvà dell'insegnamento è alla base della professione di fede del nostro popolo.
La parola ve shinnantam che noi traduciamo comunemente come e lo insegnerai, in realtà deriva da un verbo le shannen che significa punzecchiare, stimolare: dalla stessa radice deriva il termine dente, poiché è aguzzo e punge.
Il vero insegnante è colui che stimola la curiosità del discepolo, mettondolo nella condizione di chiedere per conoscere in modo più approfondito.
Secondo una delle tante spiegazioni date dallo shibolè ha leket riguardo a shabbat ha gadol è proprio quella che vede il gadol ha kehillà – il grande della comunità, il rav, intento a rispondere alle numerose domande che la comunità gli pone, rispetto alle regole, per l'osservanza della festa di pesach.

Possa questa festa di pesach che si sta avvicinando, portare pace e tranquillità a tutto il popolo di Israele, amen.

Shabbat shalom e chag pesach kasher ve sameach