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In occasione del Limmud di Bianca Colbi Finzi

Le mitzvot della festa di Succot sono: la costruzione della succà e il viverci dentro tutti i sette giorni della festa. La mitzva della succà ricorda il periodo in cui il popolo ebraico, durante la permanenza di quarant’anni nel deserto, abitava dentro delle succot.
Vi sono due opinioni discordi nel Talmud, sull’entità di queste succot. Secondo rabbi Eliezer erano capanne formate da nubi divine, le quali proteggevano il popolo dai pericoli del deserto, secondo ciò che è scritto nell’Esodo (uscita dall’Egitto): “… e il Signore andava dinanzi a loro di giorno con una nube di fumo per indicargli la strada, mentre di notte con una colonna di fuoco per illuminarla…”  e anche secondo ciò che troviamo più volte in più parti del Pentateuco che una nube di fumo si posava sulla tenda della radunanza, per indicare la presenza divina che proteggeva il popolo.
Secondo Rabbi Akivà invece erano delle vere e proprie capanne, che ogni volta da una tappa all’altra venivano costruite e demolite, per proteggersi dal caldo.
Per quale motivo esse vengono costruite nel mese di Tishrì e non nel mese di Nissan? La risposta è che il mese di Nissan è il mese della primavera, in cui cessano le piogge torrenziali e la temperatura inizia ad essere mite e piacevole. Il mese di Tishrì è invece l’inizio della stagione autunnale e l’inizio delle piogge. Sarebbe quindi, secondo l’opinione di alcuni maestri, un'esortazione ad uscire dalle case stabili e protette dalle intemperie, per provare sotto la succà, una sensazione di precarietà, come noi siamo precari in questo mondo, rispetto alle sicurezze nel mondo a venire.
E’ la stessa motivazione del fatto che noi di Pesach mangiamo la mazzà che è definita “lekhem ‘oni” il pane della povertà.
Nella festa di Pesach considerata il simbolo delle libertà e dell'identità del popolo ebraico, dobbiamo, attraverso il cibarsi di pane azzimo, renderci conto che tutto ciò che appartiene a questo mondo è simbolo della vulnerabilità dell’uomo. La mazzà di Pesach e la capanna di Succot, quindi vogliono essere la dimostrazione che in quei giorni dell’anno tutti gli uomini sono uguali davanti a D: il ricco ed il povero nella stessa misura e per entrambi vi sarà un giorno in cui, attraverso la giustizia divina, non vi saranno in eterno mai più distinzioni.
Shivat ospizi – sette ospiti
Secondo i cabalisti arrivano, ognuno per ogni giorno della festa di Succot, a trovare ogni uomo giusto nella sua succà.
In contrapposizione a questa presenza spirituale è grande mizvà ospitare sette ospiti fisici che sono poveri per farli godere della gioia della festa di succot, uno per ogni giorno.
Prima di entrare nella succà, si recita una formula di invito per ognuno di questi ospiti famosi considerati i Padri della tradizione ebraica.
Potremmo chiederci perché soltanto ospiti di sesso maschile? Qual è il valore di questa mizwà per le donne?Sia il lulav che la succà, sono definite mizvot she enan zeman gheramà – precetti senza un tempo stabilito. Le mizvot per cui le donne sono esenti sono quelle che hanno un tempo fisso cioè che al di fuori di quell’orario non si possono più fare, come le Tefillot, ad esempio. Quindi la festa di succot, prevede che l’osservanza di tutte le mizwot riguardi anche le donne. Perché allora fra questi ospiti d’onore non vi sono Sara, Rachel, Miriam, Debora, Jael? Nel libro di Bereshit, nell’episodio in cui viene narrato che Abramo riceve i tre messaggeri divini, essi dopo essere stati ricevuti con tutti gli onori da Abramo, chiedono di Sara. Così risponde Abramo: “…innè ba-oel “ è nella tenda.
Così come Sara era nella tenda poiché era lei la vera padrona di casa, nella succà le donne non hanno bisogno di essere invitate, esse non sono ospiti, sono le padrone di casa, coloro che sanno come fare sentire un ospite a suo agio.
E’ per questo motivo che si è scelto di fare un limmud in onore di Bianca Finzi, anche se secondo la Halakhà, di solito durante questi giorni di festa è proibito fare elegie funebri.
Ella ha sempre desiderato esprimere al meglio quella grande mizvà di ospitare sotto la succà, per dare a tutta la comunità l’opportunità di gioire con lei in questa festa, come era anche solita ospitare ed accogliere gente in questo ambiente senza assolutamente farla considerare ospite, ma come se fosse a casa propria.