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Per ricordare la figura di Mario Teglio, pubblichiamo una breve nota biografica, centrata soprattutto sulle sue vicende durante il periodo bellico e sul suo impegno nella lotta partigiana, tratta da una conversazione tenuta nel gennaio di quest’anno con Ines Miriam Marach, in occasione delle celebrazioni della Giornata della Memoria.

Mario Teglio fu uno dei tanti giovani ebrei bolognesi che aderì alla lotta partigiana.
Da Bologna infatti, un folto gruppo di giovani decise individualmente di combattere unendosi ai vari gruppi partigiani che già operavano in varie zone del Nord Italia; alcuni persero la vita ma ci fu anche chi sopravisse e poté raccontare la propria esperienza; fra questi Mario Teglio.

Teglio era consapevole dell’importanza di testimoniare in prima persona il proprio vissuto alle giovani generazioni e lo faceva con grande impegno incontrando regolarmente i ragazzi delle scuole e avendo un rapporto diretto con loro.

Il suo racconto iniziava con la storia della sua famiglia, una famiglia ebraica di origine modenese trapiantata in seguito a Bologna, attaccata alle tradizioni ebraiche ma nel contempo sempre inserita nel tessuto sociale e politico del paese. Il padre Attilio fu infatti giornalista della Gazzetta di Torino, poi del Resto del Carlino.
Dal 1938 la famiglia subì le conseguenze delle leggi razziali e Mario, allora quattordicenne, fu costretto a lasciare la scuola pubblica e a frequentare la scuola privata ebraica organizzata dalla Comunità in via Dei Gombruti.
Come lui stesso diceva: ho conseguito il diploma di geometra dando ogni anno gli esami da privatista all’’Istituto Pier Crescenzi. I miei voti venivano esposti nel tabellone della scuola con la scritta alunno di razza ebraica.
Nel 1942 ottenuto il diploma avrebbe dovuto essere arruolato nell’esercito ma come ebreo aveva perso sia tutti i diritti ed anche i doveri. Venne quindi avviato al lavoro obbligatorio e con la sorella fu destinato come operaio alla ditta Martelli, fino ai primi mesi del 1943.
Nel settembre, dopo l’arrivo a Bologna di una divisione tedesca e la requisizione di due camere della propria abitazione scappò in bicicletta da parenti che abitavano a Sassuolo e da lì si rifugiò nella montagna reggiana a Quara di Villaminozzo, ospitato nella canonica di Don Enzo Bonobaldoni e poi presso una famiglia di montanari in una frazione di Frassinoro.
Nei mesi successivi, quando la persecuzione si fece più cruenta e la famiglia dovette trasferirsi prima a Viserba poi in Piemonte, Teglio fu costretto a rifugiarsi in montagna dopodiché si unì a una formazione partigiana, costituita da giovani del posto, aggregata alle Brigate Italia del comandante Gorrieri.
Il suo gruppo agiva nella zona dell’alto Dolo al confine fra le province di Modena e Reggio.
Nell’estate del 1944 partecipò indirettamente alla formazione della Repubblica partigiana di Montefiorino. Il suo gruppo controllava la parte alta della strada statale delle Radici (che dalla provincia di Reggio Emilia conduceva in Toscana) e intercettava i convogli tedeschi che andavano al fronte, fermo in prossimità del crinale appenninico.
Teglio combatté duramente durante i numerosi rastrellamenti che le SS e i battaglioni della R.S.I. fecero in zona. Alcuni amici furono feriti, altri invece morirono. Per circa 20 mesi non ebbe più contatti con la famiglia, non sapeva dove fosse, né che fine avesse fatto.
Alla fine della guerra riuscì ad unirsi a tutti loro.
Da quel periodo della mia vita, diceva, ho imparato che la libertà è un bene grandissimo e che per conservarla bisogna rispettare quella degli altri e quando è necessario difenderla.