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Il testo qui sotto è tratto dal libro "Bologna nella seconda guerra mondiale" (capitolo dedicato a "Bologna e gli ebrei") scritto da C. Federici, edizione privata 1993. Il libro è un insieme di ricerche e di testimonianze da parte dell'autore.

(…) Gli avvenimenti relativi alla politica nazista contro gli ebrei, anche se soltanto parzialmente e male conosciuti in Italia erano più che sufficienti per destare sgomento e preoccupazione: è vero che gli ebrei italiani fino a quel momento non avevano alcun motivo tangibile di temere il futuro: ma tutti sapevano e si avvedevano come l’alleanza tra l’Italia e la Germania , o meglio tra Mussolini e Hitler, diveniva sempre più stretta, e le idealità politiche dei due regimi, il fascismo e il nazismo, sempre maggiormente si identificassero. Non era quindi assurdo pensare che Mussolini venisse anche lui contagiato dal fanatico e incontenibile odio antiebraico di Hitler. E infatti, tra il 1936 e il 1937 si cominciò ad avvertire che nel nostro paese “qualche cosa” stava cambiando, anche se il governo fascista continuava a dichiarare che gli ebrei erano assolutamente uguali agli altri cittadini italiani.

Alla visita di Mussolini a Berlino, nel settembre 1937, seguì dopo pochi mesi, e precisamente all’inizio del 1938, l’apertura della campagna giornalistica antiebraica: a Bologna il “Resto del Carlino” aprì le ostilità quasi in sordina contro “gli studenti stranieri” che frequentavano il nostro Ateneo denunciando che ben presto la città sarebbe stata invasa da tutti gli studenti ebrei espulsi dalla Rumenia. In un secondo tempo, in un altro articolo, sempre del Carlino, a firma di “Camicia Nera”, pseudonimo di Piero Pedrazza Redattore Capo del giornale, si proponeva di “chiudere le porte dell’Università a tutti gli stranieri ebrei”. Fu la prima palese “raffica di vento” che precedeva un imminente e pericoloso peggioramento del tempo.
Dopo altri articoli inerenti a studenti e laureati “stranieri”, evidente pretesto per dare il “via” a ben altro discorso, seguirono trafiletti sempre più apertamente minacciosi.
Il 20 maggio 1938 il Ministro della Cultura Popolare (Minculpop) ordinò che “i libri di autori israeliti tedeschi non devono essere recensiti”; è la prima disposizione ufficiale del governo fascista contro gli ebrei, per ora solo “tedeschi”, emanata, vedi caso, subito dopo la visita a Roma di Hitler, avvenuta il 3 maggio!
Il 14 luglio, per incarico del Minculpop, una decina di scienziati (tra cui Arturo Donaggio, Direttore della Clinica neurologica dell’Università di Bologna) pubblicò un manifesto dal titolo “Razzismo italiano”: il Resto del Carlino, nel suo commento, scrisse che questo manifesto aveva una base “non solo biologica ma soprattutto spirituale”, ed era diretta solo a difendere la stirpe italiana, e non contro gli ebrei… Veramente un povero tentativo per fare credere che il razzismo italiano era “diverso” da quello tedesco! E il primo a non crederci fu il Papa, Pio XI, che, il 28 luglio, avanzò pubblicamente il sospetto che “il razzismo italiano fosse un fenomeno imitativo”, affermando che nel mondo esiste “una sola razza umana”.
Il 30 luglio, a commento di quanto sopra, il giornale bolognese “L’Avvenire d’Italia” uscì con un articolo intitolato “Il Papa contro gli eccessi del razzismo e del nazionalismo”.
L’Italia “fascista” oramai completamente succube del nazismo hitleriano, aveva imboccato una strada purtroppo senza ritorno, e i provvedimenti del governo contro gli ebrei si susseguirono con vergognosa frequenza.
Il 21 luglio il governo proibisce agli ebrei di andare all’estero; in agosto vieta agli ebrei stranieri di iscriversi alle Università italiane.
Il Resto del Carlino, che nella campagna razziale antisemita è davvero “encomiabile”, si scaglia anche contro i matrimoni misti e, pur non arrivando a proporre l’annullamento di quelli già celebrati, auspica una legge che li vieta in futuro.
Nel mese di settembre il governo dispone che “gli insegnanti e gli alunni ebrei siano esclusi dalle scuole” dal 16 ottobre.
Nel mese di ottobre vengono espulsi dalla nostra Università tutti i professori di cattedra, gli assistenti di ruolo e volontari e i liberi docenti di razza ebraica.
I professori di cattedra ebrei sono undici: Tullio Ascarelli, Alberto Mario Camis, Gustavo del Vecchio, Emanuele Foà, Guido Horn d’Arturo, Beppo Levi, Rodolfo Mandolfo, Maurizio Pincherle, Beniamino Segre, Giulio Supino, Edoardo Volterra.

L’espulsione dei docenti ebrei dalla nostra Università, che per fama antica del suo glorioso passato e per fama attuale dei suoi professori era annoverata fra le prime del mondo, ebbe profonda e dolorosa ripercussioni su tutti i cittadini, e specialmente su quelli che compirono i loro studi nell’Ateneo bolognese, molti dei quali proprio sotto la guida di quelli stessi insegnanti che venivano ignominiosamente scacciati. Mai, la secolare storia dell’Università più antica del mondo aveva dovuto subire tanta vergogna.
Dopo la categoria degli universitari, fu duramente colpita quella dei medici: furono espulsi dall’Albo 14 medici ebrei, italiani o con cittadinanza acquisita, che di conseguenza non poterono più esercitare la professione.
Sei medici ebrei, per benemerenze politiche non vennero espulsi, ma solo discriminati, e pertanto poterono continuare a lavorare.
Anche nella categoria degli Avvocati, vi furono 12 professionisti espulsi e 6 discriminati.
Per i Dottori commercialisti, per gli Ingegneri e per i Farmacisti non si hanno notizie precise sul numero degli espulsi e su quello dei discriminati. Anche per i Notai si hanno scarse notizie, mentre si sa che per gli Ufficiali di carriera ebrei espulsi dall’Esercito furono cinque.
Molti furono gli insegnanti di Scuola Media colpiti dai provvedimenti razziali.
Gli ebrei furono anche esclusi da tutti i Centri di socializzazione della vita civile, come l’Unione Nazionale degli Ufficiali in congedo, il Circolo dei Commercianti, il Circolo del Tennis, ecc. Fra i vari provvedimenti razziali, ve ne furono alcuni che “meritano” di essere citati: nella Biblioteca dell’Università, i libri scritti da ebrei dovevano portare sulla copertina, sul frontespizio, sulla “quarta di copertina” e sulla scheda del catalogo la dicitura in rosso “Lib.Sg.”, cioè “libro sgradito”! Un altro provvedimento vietava la concessione agli ebrei di licenze commerciali; un altro imponeva la cancellazione dei nomi ebrei negli elenchi telefonici, un altro vietava il commercio di libri scolastici scritti da ebrei … e per finire, si arrivò perfino a cambiare il nome di una strada: via de’ Giudei divenne via delle Due Torri!
Dopo un secolo di libertà civile e religiosa, le leggi razziali furono un durissimo colpo per gli ebrei, davanti ai quali, terribile e minaccioso, risorse lo spettro di un passato quasi dimenticato dai vecchi, ignorati dai giovani.
La maggioranza dei giudei comprese che per affrontare la nuova situazione con qualche speranza di sopravvivere era necessario ritrovare l’antica solidarietà, la fede e i tradizionali valori di un tempo, affievoliti ed in parte scomparsi col raggiunto benessere e la conquistata sicurezza.
Ma vi furono anche giudei che cerarono altri mezzi per sfuggire ai pericoli che si andavano profilando nel futuro. Quello più valido parve a molti “uscire dall’ebraismo”. Ma come?
Vi erano tre strade. Abiurare la fede degli avi e farsi battezzare; l’arianizzazione, o infine, ottenere la discriminizzazione.

L’abiura
è la rinuncia o ritrattazione solenne della propria fede: non si sa quanti furono gli ebrei che abiurarono e si fecero battezzare “per convinzione” o “per opportunità”: è certo che i primi furono molto pochi. Ma in complesso, furono molti che si fecero battezzare, perché i sacerdoti cattolici battezzarono tutti quelli che lo chiesero.
Secondo informazioni assunte dalla Curia, i battesimi con abiura furono:
- nel 1937 n. 4
- nel 1938 n. 80
- nel 1939 n. 52
- nel 1940 n. 13
- nel 1941 n. 53
Finita la guerra, molti ebrei battezzati ritornarono alla religione dei loro padri, abbandonando un “cristianesimo coatto” imposta da tragiche circostanze.

L’arianizzazione
consisteva in una complessa pratica tendente a far dichiarare il richiedente non appartenente alla razza ebraica, e pertanto dovere essere ritenuto ariano.
Per ottenere ciò, si doveva dimostrare di aver un antenato ariano, oppure di essere “figlio adulterino” di madre ebrea e di padre ariano. Più convincente se era la stessa madre a dichiarare il proprio adulterio!
La domanda di essere dichiarato ariano doveva essere rivolta a una speciale Commissione, chiamata “Tribunale della razza”, presso il Ministero degli interni.
Si ignora quanti furono a Bologna i casi di arianizzazione.
La discriminazione si avvaleva di una eccezione contenuta nella legge razziale, voluta dal Gran Consiglio del Fascismo, che riservava un trattamento di favore per gli ebrei, e loro famiglie, che avevano partecipato alla guerra di Libia, alla guerra mondiale, a quella di Etiopia e quella di Spagna; per gli ebrei caduti o mutilati nella “rivoluzione fascista”, per gli iscritti al PNF tra il 1919 e il 1924, per le famiglie aventi “eccezionali benemerenze” accertabili da apposita Commissione. Quest’ultimo requisito, ambiguo ed incerto, poteva considerarsi “riservato” solo a coloro che avevano, o potevano procurarsi “amici influenti”…

Il razzismo dei Bolognesi

E’ assolutamente falsa e in malafede l’affermazione di Saverio Pòlito, Questore di Bologna in quegli anni, che “il popolo appoggia con tutte le sue forze” la politica razziale fascista.
La stragrande maggioranza dei bolognesi, per natura, non è mai stata razzista, e tanto meno antisemita. Per esempio, durante gli anni della persecuzione fascista antigiudaica, a Bologna soltanto tre locali esposero il cartello che vietava l’accesso agli ebrei, e ben poche furono le scritte antisemite sui muri delle case.
Anche la Chiesa Cattolica bolognese, più o meno energicamente, si è sempre schierata contro la politica razzista del fascismo; basti ricordare le due omelie pronunciate dal Cardinale G. B. Nasalli Rocca, Arcivescovo di Bologna, nel giorno del Natale del 1938 e nel giorno dell’Epifania del 1939. Nella prima omelia il Vescovo affermò che “gli uomini sono tutti una famiglia di Gesù Cristo che ne è il primogenito … Bando quindi a certe esotiche ed inconsulte ideologie ispirate ad un esagerato nazionalismo, che approdano a scavare abissi incolmabili … disconoscendo il vincolo naturale della comune origine da un’unica coppia primitiva … “
E il giorno dell’Epifania, dopo aver ribadito i concetti di paganesimo “che oggi si vuol fare rinascere”, aggiunse: “Quanta ignoranza in molti! Fino a giungere a non comprendere questa verità fondamentale del Cristianesimo, l’unità e la fratellanza di tutti gli uomini in Gesù Cristo!”
Anche se su 413 Parrocchie allora comprese nella Diocesi di Bologna, soltanto una decina di Parroci espressero apertamente e coraggiosamente i loro sentimenti antirazzisti, non si può dire che la Chiesa bolognese abbia mai aderito o anche solo simpatizzato, alla politica antisemita del fascismo.
Purtroppo, anche se furono pochi, non mancarono a Bologna i sostenitori dell’antisemitismo, specialmente nella classe intellettuale. Ricordiamo il Prof. Donaggio, firmatario tra l’altro del “Manifesto della razza”, il Prof. Frassetto, definito “uno dei gran precursori del razzismo italiano”, il Prof. Alessandro Chigi, Rettore dell’Università, arrabbiato razzista, il Prof. Ezio Chiorboli, Preside del Liceo Ginnasio Galvani, e l’intera redazione del “Resto del Carlino”, Direttore e Capo Redattore in testa, che tanta parte ebbe nella campagna feroce, violenta e talvolta anche sleale contro gli ebrei.

Quando il 10 giugno 1940 l’Italia entrò in guerra, la situazione degli ebrei stranieri peggiorò: essi furono tutti arrestati ed internati. Ma anche per gli ebrei italiani i pericoli aumentarono, pericoli che, talvolta, neppure gli ebrei conoscevano. Per esempio, nessuno sapeva che, per ordine esplicito di Mussolini, si stava preparando per loro un campo di concentramento!
E con la guerra, altre disposizioni contro di loro furono emanate: sequestro degli apparecchi radio, divieto di pubblicare necrologi sui giornali, esclusione da tutti gli spettacoli, cinematografici, teatrali, musicali … Nel maggio del 1942 fu anche decretato la precettazione per il lavoro coatto per tutti gli ebrei, maschi e femmine, dai 18 ai 55 anni. A Bologna, gli ebrei furono quasi tutti esonerati “per motivi di salute” grazie al Medico Provinciale Francesco Addari che “ha fatto il possibile di dichiarare un numero assai esiguo di ebrei come adatti al lavoro” (da una Relazione della Comunità israelitica di Bologna del 12/3/1948).

Sempre nella precitata Relazione israelitica si legge: “Dal 1938 al 1943 le leggi furono applicate “pro forma” ed anzi le Autorità cercavano in tutti i modi di non farcene sentire il peso”, in particolare per l’opera svolta dall’allora Segretario del Questore Dott. Umberto Muoio. Un’altra prova dell’anti-razzismo bolognese.

La situazione degli ebrei precipitò verso la tragedia dopo l’8 settembre 1943, quando il Governo di Vittorio Emanuele firmò l’armistizio con gli Alleati, e tutta l’Italia centro-settentrionale venne occupata dai tedeschi. Chi poteva più impedire che anche nel nostro paese venisse applicata la legge nazista contro gli ebrei?
In breve tutto fu pronto per deportare i nostri ebrei: il primo rastrellamento avvenne a Roma il 16 ottobre, poi fu la volta di Milano. Ma per l’incapacità dell’ufficiale tedesco incaricato delle operazioni di coordinarle e per le titubanze ed opposizioni del governo della RSI, non si ebbero altri rastrellamenti.

Nel novembre del 1943 il governo di Mussolini deliberò che “gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemiche”. In ultima analisi, questa durissima deliberazione potrebbe risultare vantaggiosa per gli ebrei che, come prigionieri di nazionalità nemica dovrebbero essere tenuti in campi di concentramento italiani fino al termine della guerra. Ma d’altra parte, i tedeschi, praticamente “padroni” del nostro paese, potrebbero molto più facilmente prelevarli e mandarli nei loro lager …
A Bologna, di fronte a questo stato di cose, gli ebrei non rimangono inerti:molti di loro, che già da tempo avevano preso in affitto case o locali in luoghi fuori mano, e lontani da centri abitati, si affrettarono a partire da Bologna. Altri, invece, pur restando in città, poterono nascondersi presso cittadini ariani. E ciò fu possibile perché la stragrande maggioranza dei bolognesi era antirazzista e simpatizzante con loro; arrischiando, se scoperti, terribili punizioni, non solo li nascosero ospitandoli, ma li mantennero se necessario, fino alla fine della guerra.
Così, quando il 7 novembre i tedeschi, con la collaborazione dei fascisti, fecero scattare la prima retata, gli ebrei erano già quasi tutti scomparsi dagli indirizzi indicati negli elenchi forniti dalla Questura. I pochi che vennero catturati – pare diciassette – vennero quasi subito caricati su un treno proveniente da Roma, e già pieno di ebrei, e diretti ad Auschwitz.
La “caccia agli ebrei” naturalmente continuò: ma degli 864 israeliti che all’8 settembre si trovavano a Bologna, solo il 10% circa cadde vittima dei nazisti; e ciò grazie all’aiuto dell’intera popolazione: Cliniche, Ospedali, Parrocchie, Istituti religiosi e case private accolsero gli ebrei e li protessero come poterono.
Alcuni giudei, invece di nascondersi, preferirono partecipare alla lotta partigiana e combattere per la comune libertà.

Secondo alcuni calcoli, gli ebrei bolognesi morti nei lager furono 114; solo 36 di essi prima di essere inviati nei campi di sterminio passarono per il Carcere di San Giovanni in Monte.
Quando, finalmente, ebbe termine la guerra con la sconfitta del nazismo, per milioni di persone finì l’incubo che per ben sei anni li aveva oppressi; e certo chi più di ogni altro ne gioì furono gli ebrei, per i quali rinasceva la vita e la speranza nel futuro. Speranza, ma non la certezza, perché l’odio razzista è un sentimento sempre esistito, e che, ahimè, forse sempre esisterà.