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Intervento di G. Ottolenghi (Presidente, Comunità Ebraica di Bologna) durante il pomeriggio per ricordare Bianca Colbi Finzi (8 novembre 2012)

Gentile Simona Lembi, Presidente del Consiglio Comunale di Bologna, è un piacere ed un onore poter portare il mio contributo in questa occasione. Ringrazio Lei, il prof Alessandrini e tutti gli illustri relatori e i partecipanti a questo evento.

Mi è stato affidato il compito di tracciare un quadro di contesto, in cui poi si inseriranno gli interventi sulla figura di Bianca Finzi, ricordando i rapporti tra la nostra città e la comunità ebraica nel secondo dopoguerra. Per fare questo vi prego di seguirmi per un attimo negli anni di inizio novecento, in cui la comunità ebraica era assai integrata nella vita cittadina e vi contribuiva appieno. Tra gli ebrei più illustri ricordo Amilcare Zamorani, che trasformò il Carlino da foglio locale a giornale nazionale, guidandolo vent’anni fino al 1905, Maurizio Pincherle, che fece avanzare la pediatria nella nostra città, Attilio Muggia che fu a lungo presidente della Comunità, innovò architettonicamente Bologna col Pincio della Montagnola e numerosi edifici centrali, introdusse l’uso del cemento armato e fondò la facoltà di Chimica Industriale, Walter Bigiavi, che diede lustro alla scuola di diritto bolognese. Le leggi razziali del 1938 ruppero il filo di questa partecipazione ebraica alla vita cittadina, con 14 professori espulsi dall’università e molte attività accademiche, economiche e professionali precluse ai cittadini ebrei. Dopo la guerra il rapporto tra città e comunità ebbe un diverso carattere. Alcune figure dell’ebraismo pre-guerra tornarono: il primo rettore della liberazione fu ad esempio il prof. Edoardo Volterra, che era tra l’altro buon amico di Bianca Finzi, e ebrei impegnati nella lotta di liberazione assunsero cariche politiche, come il socialista Nino Samaja, che fu vice sindaco di Bologna con Dozza e assessore alla sanità dalle elezioni della liberazione (9 aprile 1946) al 1956, ma in generale i rapporti furono più difficili e si alternarono periodi di maggiore dialogo e periodi di sfiducia e chiusura della comunità in sé stessa.

Un iniziale periodo di collaborazione è testimoniato dalle prime presidenze della Comunità dopo la guerra, come quella breve dello stesso Nino Samaja, convinto ad assumere questo ruolo proprio da Bianca Finzi nel 1945, o nel 1946 quella del noto professore di idraulica Emilio Supino, figlio dell’insigne professore di storia dell’arte, Igino Benvenuto Supino, amico di Pascoli, Fattori e Signorini. Questo periodo culmina nel 1954 con l’inaugurazione del tempio restaurato su progetto di Guido Muggia, figlio di Attilio, cui partecipano le principali autorità cittadine. Ma già dal ’49, e poi più decisamente dal 1956, le posizioni dell’Unione Sovietica, che da alleata di Israele ne divenne nemica, pesarono sull’atteggiamento dell’amministrazione PCI di Bologna anche verso la comunità. In comunità si alternarono presidenze favorevoli ad un dialogo con la città, come quelle di Eugenio Heiman, a periodi di introspezione e chiusura. In quel periodo il tema della Memoria, oggi largamente condiviso, era in ombra rispetto a quello prevalente della Resistenza. Gli sforzi di Heiman, che aveva amicizia con Zangheri ed altre figure di spicco di allora, permisero i primi contatti con le scuole, la prima mostra sul tema dell’Olocausto in Comune a Bologna, nel 1975 in collaborazione con Yad Vashem, e la difesa delle ragioni di Israele, attaccate quasi quotidianamente dal circolo Cabral, voluto dal Comune nel 1974, che poi proprio attraverso l’opera paziente di Heiman e altre figure della comunità ebraica assunse posizioni meno squilibrate, ed ebbe nella sua direttrice prof.sa Gentili un interlocutore più disposto all’approfondimento. È importante ricordare oggi la diffidenza che accoglieva ogni iniziativa culturale ebraica in quegli anni, la passione ideologica che divideva profondamente, il continuo sconfinamento tra critica a Israele, odio ideologico e antisemitismo tout court, che ebbe il suo apice nel 1982 durante la guerra del Libano e con l’attentato alla sinagoga di Roma. In quel tempo anche in comunità vi erano divisioni ideologiche su Israele, e diffidenza verso il mondo esterno, e in ogni caso la comunità ha sempre dovuto assolvere al suo ruolo primario di assicurare ai suoi membri il culto, l’educazione e l’aggregazione. Il dialogo con le scuole continuò, anche se fu condotto da singoli volontari che rispondevano a stimoli esterni, senza una cosciente scelta o un supporto delle istituzioni comunitarie. Nel 1982 assunse la presidenza Guido Rimini, uomo colto e aperto che diede spazio alle iniziative dei singoli membri della comunità verso l’esterno. Bianca Finzi, che come sentiremo dopo aveva svolto ruoli importanti nelle battaglie per la laicità e i diritti delle donne, ed era membro autorevole della comunità di Bologna, divenne presidente nel 1985 (essendo stata presidente nazionale dell’associazione donne ebree – ADEI dal 1976 al 1985), mantenendo questa carica per un lungo periodo fino al 1999. Portò con sé la sua rete di relazioni nel mondo ebraico e politico e nella società civile, la sua voglia di fare, ma soprattutto la sua disponibilità a dare spazio anche agli altri correligionari che ricercavano un dialogo fruttuoso con la cittadinanza. Questo indirizzo si inserisce in un periodo in cui in Italia e nel mondo occidentale cambiava in senso favorevole l’atteggiamento verso la cultura ebraica, con crescente interesse in tutti i campi, e maggiore coscienza del tema della memoria e della sua attualità. Non fu un piccolo merito cogliere, sia da parte della comunità che della città questo vento favorevole e costruire un nuovo rapporto. Tra i tanti progetti di questa epoca credo che un momento di svolta si ebbe con l’organizzazione della riuscitissima mostra “Arte e Cultura Ebraica in Emilia Romagna”, svoltasi a Ferrara a cavallo tra il 1988 e ‘89. Questa mostra, seguita in pieno accordo con Bianca Finzi da Eugenio Heiman e altri per la comunità, in stretto contatto con l’Istituto dei Beni Culturali dell’ER, col sindaco Imbeni e con Giuseppe Gherpelli, ebbe un eccezionale afflusso di pubblico, mostrando un forte interesse per la cultura ebraica che diede l’avvio al progetto di recupero del ghetto e alla fondazione del Museo Ebraico di Bologna, inaugurato nel 1999. Questo museo, tra i meno costosi della Città, è tutt’oggi anche uno dei musei più visitati da turisti e scolaresche.

Se ho completato seppur episodicamente, il compito che mi è stato dato, vorrei ancora dedicare due parole personali a Bianca, che fu cara a me e alla mia famiglia, e che mi spronò ad assumere a mia volta responsabilità crescenti nella gestione della Comunità.  Era una presidente molto presente, che teneva sotto controllo il funzionamento di ogni cosa e dedicava molto tempo a questa attività, non disdegnando di fare dal lavoro più semplice come gestire la corrispondenza e ordinare gli archivi, fino al compimento dei più alti ruoli istituzionali. Insieme alla segretaria Sara Gatta, cui era affezionata, gestiva col suo metodo il funzionamento della nostra piccola organizzazione. La sua gestione si svolse in tempi in cui ancora più di oggi c’erano pochissimi fondi. Bianca seguiva la parte economica con grande attenzione, ed era generosa, contribuendo alla vita della comunità non solo col suo tempo ma anche con le sue risorse, sia come contribuente, sia mettendosi le mani in tasca quando i conti non tornavano. Io la ricordo come una donna capace di grandi affetti, ma anche convinta delle sue ragioni e pronta a imporsi. Alle volte si infuriava, ma quasi sempre la furia era di breve durata, e quando una persona con cui aveva avuto contrasto si trovava in difficoltà, dimenticava subito gli screzi e si faceva carico dei problemi del suo prossimo. Fu pronta in più occasioni a prendere posizioni di principio, ma faticose, per difendere la dignità della Comunità o dei suoi membri.

Che il suo ricordo sia sempre in benedizione!