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Di Rav Alberto Sermoneta

Il mese di Elul è l’ultimo mese del calendario ebraico, il mese che precede il grande giorno di Rosh ha Shanà.
Per questo motivo è conosciuto dalla tradizione rabbinica come chodesh ha selichot ve ha rachamim, ossia il mese delle suppliche e della misericordia. C’è uno scambio fra noi e D-o, verso cui noi rivolgiamole nostre suppliche e Lui si comporta nei nostri confronti con misericordia.

Il termine rachamim viene tradotto con misericordia, ma esso vuole intendere qualcosa di molto più profondo e che soltanto noi ebrei, siamo riusciti a interpretare, in quanto la nostra tradizione ci ha sempre indirizzati a comprendere le strade più profonde all’interno dei nostri cuori.
Rachamim se analizzato grammaticalmente, può essere definito il plurale della parola rechem che significa utero, ventre materno; una caratteristica comune a tutte le donne che hanno messo al mondo dei figli, è quella di comprendere i loro sentimenti più interiori e addirittura, aiutarli e comprenderli anche quando essi sbagliano, e nella maggior parte delle volte, perdonarli.
Questa è anche la caratteristica divina in quanto Iddio è in grado di comprendere l’operato dei suoi “figli” e persino di perdonarli nei momenti in cui essi sbagliano, poiché egli ama il perdono e non la punizione.
Il mese di Elul ha la forza di fare in modo che Iddio, attraverso le suppliche che noi Gli rivolgiamo, possa perdonarci delle nostre colpe e dei nostri trascorsi, avvenuti durante l’anno, e di cui noi ci siamo realmente ravveduti, non soltanto a parole ma anche attraverso i fatti.
“Lo ha midrash hu ha ikkar ellà ha ma’asè”, “ non è la chiacchiera la cosa fondamentale ma il fatto” ci ammoniscono i Maestri della Mishnà! Cioè non sono le promesse a parole, quelle che noi facciamo quando ci troviamo nei momenti critici della nostra vita, ma ciò che riusciamo a mantenere è la cosa fondamentale!
Racconta un midrash, che quando il re di un luogo decide di scendere incontro ai suoi sudditi, per ascoltare le loro necessità e vedere ciò che essi fanno per lui nei campi da lavoro, ogni suddito ed ogni lavoratore, cerca di accaparrarsi il posto più vicino al percorso che il re farà, in modo da chiedergli quelle che sono le sue necessità ed avere più probabilità di essere ascoltato.
E’ così che dobbiamo fare noi ebrei durante il mese di Elul, cioè il mese in cui il Signore è più vicino al suo popolo, per vedere il suo lavoro ed ascoltare quelle che sono le sue richieste, ed è per questo che noi dobbiamo approfittare di quest’opportunità che ci viene data una volta all’anno.
Durante tutto il mese di Elul, c’è l’uso di alzarsi di mattina molto presto, quando è ancora buio (molti usano farlo nel cuore della notte) e recitare una serie di preghiere e di suppliche chiamate SELICHOT, in cui oltre a chiedere perdono a D-o di tutto ciò che di non buono abbiamo fatto nel corso dell’anno che si sta per concludere, anche quelle che sono le nostre necessità per vivere una vita buona e dignitosa e che possa metterci nella condizione di servire soltanto Lui e nessun altri, tanto meno i nostri simili.
La caratteristica di queste selichot è quella proprio dell’orario in cui esse vengono recitate e cioè nel fondo della notte, quasi a rimarcare il fatto che a quell’ora, la maggior parte degli uomini usano dormire e simboleggiare quasi che il Signore, sia meno intento nella sua attività e quindi abbia più tempo per ascoltare le preghiere del popolo di Israele a Lui particolarmente caro.
Sembra un quadretto che descrive un idillio amoroso in cui due innamorati si incontrano di segreto, non tanto per mantenere la cosa nascosta agli altri, ma per non creare reazioni di gelosia da parte degli altri popoli.
Un famoso maestro del secolo scorso, commentava il periodo delle selichot e quindi del mese di Elul, dicendo che come ogni malattia del fisico umano ha bisogno di un periodo più o meno breve di cure per far sì che il corpo possa riprendere le sue forze e affrontare nuovamente la vita di tutti i giorni, così anche l’anima ha bisogno di cure, per guarire dalla sua malattia e tornare a vivere sana.
Una delle peggiori malattie dell’anima è la LASHON HA RA’ ossia il parlare male del prossimo; essa non è soltanto lo spettegolare ma anche l’allusione a qualcosa di negativo o addirittura l’insinuazione di un cattivo comportamento del prossimo, riferito ad una terza persona.
Essa è considerata fra le peggiori categorie di colpa di cui il popolo si possa macchiare; è punita non con la morte repentina, ma con malattie che portano ad un alto grado di sofferenza, fintanto che colui che si macchia di tale colpa possa rendersi conto del danno che ha causato a suo “fratello”.
Se si pensa alla storia di Miriam, sorella di Mosè che per aver soltanto appena insinuato qualcosa di vero nei confronti di suo fratello, viene colpita da questa atroce malattia che non la danneggia soltanto a livello fisico, ma anche a livello morale e psicologico.
Questo periodo di cura coincide con il mese di Elul, con le selichot e tutte le altre azioni che ogni ebreo ha il dovere di fare e che non sono meno importanti di quest’ultima.
I nostri Maestri ci esortano oltre alle selichot ad attuare altre mizvot fondamentali alla nostra guarigione, che sono:
La teshuvà, non il pentimento ma il ritorno, ossia il ritorno a quella strada che ci ha indicato la Torà e che ci permette di non correre rischi di sbagliare o trasgredire.
La zedakà, non l’elemosina ma l’opera di giustizia che ogni ha ebreo ha il dovere di osservare verso chiunque possa chiedergliela. Ogni ebreo, tanto il ricco quanto il povero ha il dovere di fare la zedakà in modo tale che non vi siano all’interno del popolo di Israele disparità nel comportamento verso il Signore Iddio.
La tefillà, non soltanto la preghiera, ma la volontà di sapersi sottoporre al giudizio divino, accettandone le conseguenze del proprio comportamento.
Soltanto in queste condizioni possiamo affrontare quel giorno grande e terribile che è Rosh ha Shanà, chiamato dai Maestri di Israele Jom ha Din – giorno del giudizio - in cui ognuno di noi dovrà dare giustificazione del proprio operato davanti a Colui che è Chaj ve Kajam (vivo nell’eternità) e che usa che tutte le creature del creato gli passino davanti per essere analizzate e che non prende corruzione né usa parzialità.
Per cui prendiamo l’insegnamento di quel Maestro che dice che come ogni malattia del corpo, anche quelle dell’anima hanno bisogno di essere curate e approfittiamo delle cure nel momento in cui il RE E’ NEL CAMPO ed più disposto ad ascoltare i nostri bisogni