L’Ebraismo crede all’esistenza di una vita nell’aldilà, l’Olam habah, “il mondo che viene”, e al giudizio, alla ricompensa nei cieli e alla punizione divina. Il termine Olam habah è anche usato nella tradizione ebraica per far riferimento ad un’era futura nella quale quanti si sono comportati in modo giusto saranno riportati in vita in un mondo perfetto.
Pur non soffermandosi sulla morte, la tradizione ebraica, una volta che essa sopraggiunge, sottolinea l’importanza di non negare la sua realtà. Chi è in lutto è invitato a spargere per primo la terra sopra la bara o sopra il corpo del defunto quando viene deposto nella tomba, quasi per rafforzare la consapevolezza della perdita.
Le tradizioni ebraiche per la sepoltura e per il lutto sono volte a spingere colui che vi è coinvolto a misurarsi, prima con la realtà della morte, e poi con la sua accettazione. Quando si viene a conoscenza della morte di un parente, i parenti stretti esprimono il proprio dolore facendo uno strappo sul vestito, Questa tradizione risale alla figura di Giacobbe che, nella narrazione biblica, si lacerò le vesti dopo essere venuto a conoscenza della morte del figlio Giuseppe (Genesi 37,34).
L’Ebraismo impone che la sepoltura avvenga nello stesso giorno della morte; può essere posticipata nel caso sia necessario del tempo per radunare i cari del defunto.
Il defunto viene avvolto in un semplice lenzuolo funebre a cui si aggiunge, per gli uomini, lo scialle della preghiera con le frange tagliate (Talled) in segno di lutto e di perdita: questo dà rilievo al fatto che tutti gli esseri umani sono uguali. La bara necessaria al trasporto del corpo è semplice e fatta di legno. Al funerale è usanza comune che un rabbino o un parente stretto del defunto, pronunci un discorso funebre (Hesped), indicando i pregi del defunto. Secondo la tradizione, lo scopo è quello di far piangere i parenti del morto, aiutandoli a sfogare ed esprimere il loro dolore.
Dopo il funerale, gli Ebrei osservano una settimana di lutto (Shiva), il cui nome attinge al termine ebraico che indica il numero “sette”. Durante questa settimana, i parenti del defunto rimangono in casa, seduti su bassi sgabelli. I “sette giorni” sono osservati dai genitori, dai figli, dai coniugi e dai fratelli del deceduto, preferibilmente insieme nella casa del defunto. I membri della comunità li raggiungono per celebrare alcuni riti di preghiera, per portar loro del cibo e far loro visite di solidarietà. Chi è in lutto non può radersi, lavarsi e indossare scarpe di pelle. In casa, tutti gli specchi devono essere coperti.
La settimana di Shiva è parte del mese di lutto (sheloshim, dal numero “trenta”, che fa riferimento ai giorni del mese) che, dopo i primi sette giorni, segue con un’attitudine meno intensa; in questo mese i parenti del defunto non partecipano a celebrazioni, non si radono, non si tagliano i capelli e non ascoltano musica. Anche nei dodici mesi successivi alla morte della persona cara, si evita di partecipare a feste o concerti. Durante questo periodo, viene recitato il Kaddish, una preghiera in onore del morto, in ogni momento principale di preghiera.
Al termine di un anno le tradizioni relative al lutto terminano. Il defunto verrà ricordato nel giorno dell’anniversario di morte (Yahrzeit): in questa occasione i familiari recitano il Kaddish nella sinagoga e accendono una candela in sua memoria. Anche nel corso di alcune feste, viene recitata una preghiera speciale per i morti, nota come Yizkor.
Fonte: "per conoscere l'ebraismo" di Daniel Taub