Questo sito usa i cookie di terze parti per migliorare i servizi e analizzare il traffico. Le info sulla tua navigazione sono condivise con queste terze parti. Navigando nel sito accetti l'uso dei cookie.

La parola ebraica che indica l'elemosina, Tzedaka, viene da Tzedek, giustizia. Da qui la diversa connotazione rispetto all'uso comune: elemosina, per un Ebreo, non è un'offerta volontaria che esprime la generosità di chi la compie, ma una questione di "giustizia", un obbligo fondamentale secono il quale tutti devono dare una parte del proprio reddito per aiutare i poveri e i bisognosi.

(…) L’importanza dell’elemosina viene inculcata ai bambini di giovane età e in ogni casa ebrea è presente una sorte di salvadanaio (Pushke) nel quale i più giovani ripongono i propri risparmi, incoraggiati dai genitori. I rabbini enfatizzano l’importanza della Tzedaka dicendo che il suo valore è simile a quello di tutti gli altri comandamenti nessi insieme. Un detto rabbinico insegna: “La Tzedaka salva dalla morte”. Un rabbino contemporaneo Reuven Kimmelman, commenta: “la Tzedaka può anche non salvarci, ma ci rende senza dubbio degni della salvezza”. L’enfasi sull’elemosina è di tipo pratico. L’attenzione non è tanto sui motivi che spingono una persona a dare, quanto piuttosto sull’assistenza pratica offerta a chi è nel bisogno. In riferimento à ciò, il grande rabbino e filosofo ebreo Maimonide stillò una lista con otto “gradi” di elemosina. Il più alto è quello che permette al destinatario di diventare indipendente, come per esempio quello di offrire un lavoro a una persona povera

Fonte: “Per conoscere l’ebraismo” di Daniel Taub