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Questa parola ebraica deriva da una radice halak che significa “camminare”, “procedere”.

Parola aramaica originata da una radice che significa “concludere, risolvere” e “apprendere”; essa designa il complesso dell’attività degli amoraim, quei maestri che, commentando e ampliando la parola della Mishnah, concorsero alla formazione del Talmud e furono attivi tanto in Palestina quanto in Babilonia.

E’ questa una parola di origine incerta, che deriva probabilmente dal greco e indica un particolare procedimento di interpretazione del testo ebraico.

La Torah, cioè il Pentateuco, nella tradizione ebraica non si suddivide in capitoli e versetti, bensì in 54 parashot, che è il plurale di parashah, vale a dire le suddivisioni del testo sacro in conformità al ciclo sinagogale di lettura, che prevede il completamento di tutto il Pentateuco nel corso dell’anno.

E’ una parola che deriva probabilmente dalla radice patar, che significa “concludere”, “terminare”. Essa indica molto specificamente quella breve porzione dei libri dei profeti e o degli agiografi che segue la lettura del passo della Torah, (parashah) nel rito sinagogale del sabato e dei giorni festivi.

E’ questa una delle parole che significano “numero”.

“Arca Santa”, “arca”, cioè più letteralmente “armadio”, “contenitore”. Si tratta di uno scomparto della sinagoga dentro il quale viene tenuto il Sefer Torah, vale a dire il rotolo del Pentateuco scritto a mano su pergamena.

La legge ebraica prescrive all’uomo e alla donna di mantenersi in stato di purità fisica. L’impurità proviene da diversi fattori: malattie varie (in particolare della pelle), emissione del seme, contatto con un corpo morto e anche ciclo mestruale e parto.

“Baldacchino” nuziale sotto il quale ha luogo la cerimonia del matrimonio; esso consiste in un telo tenuto insieme da quattro pali a loro volta sorretti da quattro uomini.

E’ questa una parola ebraica che deriva da una radice molto comune: aman, che significa “essere saldi”, “stabili”, “aver fiducia”, “credere fermamente”. La parola amen ricorre quattordici volte nella Torah come formula conclusiva, o di risposta nella preghiera.