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Di Rav Alberto Sermoneta

Il digiuno del 10 Tevet che commemoriamo anche se apparentemente sembra minore rispetto agli altri digiuni (forse per la sua breve durata), è in realtà quello più importante fra i digiuni comandati dai nostri Maestri.

Esso è l'unico digiuno che, anche se cade di venerdì - vigilia di Shabbat - viene mantenuto in quel giorno e non viene, né anticipato né posticipato come avviene per gli altri. Il motivo è che esso ricorda l'assedio posto attorno alle mura di Gerusalemme, ad opera dei Babilonesi: è l'inizio di tutte le sciagure capitate al nostro popolo. La Rabbanut ha Rashit le Israel (il rabbinato centrale di Israele) ha voluto dedicarlo al ricordo della Shoah definendolo "Yom kaddish klalì - Giorno del Kaddish generale". Un giorno per poter ricordare le vittime della Shoah, comprese coloro che non hanno parenti e per coloro di cui non si conosce il giorno in cui furono uccise, per poter loro recitare un kaddish in una precisa data. 

I chakhamim ci insegnano che, nel corso delle nostre vite, capitano degli eventi per i quali non abbiamo il diritto di chiederci il perché anzi, dobbiamo tacere. Questo ci viene insegnato dal racconto della Torà in cui si narra della morte dei figli di Aharon - Nadav e Avihù - i quali furono uccisi da D-o per aver offerto un sacrificio che non gli era stato richiesto. Il testo dice:

"vaiddom Aharon - e Aharon rimase zitto". Non ci è dato il diritto di spiegarci le grandi tragedie del nostro popolo durante e soprattutto la Shoah; perché sei milioni di uomini, donne, vecchi e bambini furono massacrati in un modo unico, come mai è avvenuto per nessun altro popolo. Abbiamo soltanto il dovere di star zitti come forma di rispetto, nei confronti di costoro che hanno offerto la vita per kiddush ha Shem, e recitare loro un kaddish che è l'atto di massima rassegnazione nella santificazione di D-o.

Nella parashà di vaiggash, (che leggeremo questa settimana) dopo essersi fatto riconoscere dai fratelli, Giuseppe li consola dicendo che essi non debbono avvilirsi o avere rimorsi per aver contribuito alla sua discesa in Egitto, perché ciò è stato un progetto divino, che ha disposto per il loro bene futuro; quale bene? Quello di divenire schiavi del faraone per quattrocento anni? 

Nel Talmud, troviamo un grande insegnamento dovuto a Rabbì 'Akivà che suona con le parole:

"kol mai de' avid rachamanà le metav 'avid - Tutto ciò che il Santo Benedetto Egli sia ha operato, lo ha fatto a fin di bene", è assai difficile pensare in questo modo!

Eppure Rabbì' Akivà fu uno degli 'asarà harughé malkut - dieci martiri della dominazione romana; la sua morte è considerata fra le più atroci a cui un uomo possa essere sottoposto. 

Eppure, secondo l'opinione dei chakhamim, questa espressione è considerata il massimo grado di accettazione della volontà di D-o e il segno più alto di fede in lui. È per questo che dobbiamo accettare e per questo non ci resta che recitare loro un kaddish. 
Che il Signore D-o possa accogliere le nostre preghiere e ricompensare il sacrificio dei nostri cari, portando finalmente pace e guarigione a noi e ai nostri figli.