Questo sito usa i cookie di terze parti per migliorare i servizi e analizzare il traffico. Le info sulla tua navigazione sono condivise con queste terze parti. Navigando nel sito accetti l'uso dei cookie.


Di Rav Alberto Sermoneta

Con la parashà di Bemidbar che leggeremo questo shabbat, inizia il quarto libro della Torà, che prende il nome da una delle prime parole con cui inizia: BEMIDBAR.
Il nome che fu dato dalla traduzione dei Settanta e in seguito dalla Vulgata è quello di NUMERI, in quanto esso inizia con un censimento del popolo ebraico, in particolare degli uomini dai venti anni in su atti alla guerra.
In effetti il nome che il libro ha in ebraico è più consono al suo contenuto complessivo, perché in esso è narrata la storia del popolo, la sua formazione e gli episodi più negativi, avvenuti durante i quaranta anni di permanenza nel deserto.

Il fatto che il popolo avesse ricevuto come punizione divina quella di rimanere per quaranta anni nel deserto, senza entrare nella terra di Israele, per non aver avuto fiducia in D-o che li avrebbe guidati nelle guerre di conquista del Paese, ci porta a qualche riflessione.
Al capitolo 13 del libro di Shemot, al verso 17, ci viene raccontata l’uscita del popolo dall’Egitto (“vahì be shallach par’ò et ha ‘am - ..e avvenne quando il faraone mandò via il popolo dall’Egitto….) La Torà sottolinea che “ il Signore non scelse la strada del paese dei Filistei, che era più vicino………” ma condusse il popolo verso il deserto in modo che, seppure fosse stato preso dalla paura, non potesse tornare in Egitto.
Se il Signore ha sostenuto il popolo in ogni avventura e quindi, anche in guerra (vedi episodio di ‘Amalek), perché non avrebbe potuto sostenerlo anche nel caso di una guerra contro i Filistei?
C’è quindi da pensare che, dietro ad una giusta punizione per non aver avuto fiducia in Lui, che lo avrebbe condotto alla conquista della terra di Israele, c’era anche un disegno divino, ancora più profondo.
Nel quinto capitolo del libro di Giosuè troviamo scritto, a proposito dell’episodio del passaggio del fiume Giordano “ poiché per quaranta anni andarono i figli di Israele nel deserto fino alla morte di tutti coloro che erano usciti dall’Egitto….”(Giosuè cap. 5 v.6).
Questo ci fa pensare che probabilmente nel disegno divino c’era l’intenzione di far crescere una nuova generazione, che non avesse conosciuto né la schiavitù né la paura dell’Egitto e degli egiziani, e fosse stata quindi pronta ad affrontare in modo libero tutte le guerre necessarie alla conquista di Eretz Israel.
Un commentatore del testo biblico sostiene che il deserto, anche per la sua particolare temperatura estremamente calda, avesse avuto la funzione di forgiare il popolo, come avviene proprio per il metallo prima di diventare prezioso e renderlo maturo per il suo scopo: cioè ereditare quella Terra che il Signore aveva promesso ad Abramo, Isacco e Giacobbe.

Shabbat shalom