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Di Rav Alberto Sermoneta

Una delle problemati che più discusse della parashà di Chukkat, che leggeremo questo shabbat, è il brano che viene chiamato “nechash ha nechoshet – il serpente di bronzo”.
In essa si racconta che il popolo si lamentasse contro Mosè ed Aaron per la mancanza di cibo e di acqua, sostenendo che all’infuori della manna, non vi era altro.
Il Signore punisce la maldicenza del popolo, mandando dei serpenti che mordono, uccidendo, alcuni che si erano macchiati di questa colpa; altri invece avvelenati e colpiti dalla piaga, pentendosi della malefatta pregano Mosè di intercedere con il Signore per farli guarire.

 

Il Signore comanda di costruire un serpente di bronzo e di porlo su di una colonna in alto, affinché chiunque lo avesse guardato sarebbe guarito, dal veleno introdotto dai serpenti.
Ci si domanda cosa volesse dire questo racconto e che messaggio avrebbe dovuto inviare al popolo: infatti, sembrerebbe più un affare da idolatria che da popolo ebraico.
Nel Tempio di Gerusalemme, fino ad un certo periodo, c’era il serpente di bronzo, ma si costrinsero i capi del popolo ad abbatterlo, perché il popolo si stava comportando con esso come con un idolo pagano.
Alcuni spiegano questo episodio, facendo una similitudine con quello narrato in Esodo 17 vv. 8 –13, in cui si parla dell’attacco di ‘Amalek al popolo ebraico, che soltanto grazie all’intervento di Mosè, che si comporta in un modo particolare, riesce a sconfiggere il nemico.
Infatti Mosè, si pone su di un’altura e alza le braccia al Signore: in quello stesso momento il popolo ha la meglio su ‘Amalek, mentre quando le abbassa, il popolo non riesce ad essere superiore al nemico.
Il fatto che il popolo avesse la meglio su ‘Amalek, non era dato dal fatto che Mosè avesse le braccia in alto, ma dal fatto che, guardando in alto, verso D-o, il popolo ritrovava quella fiducia necessaria, prima in D-o poi in se stesso, per vincere il nemico.
La stessa cosa avviene con il serpente di bronzo: guardando in alto, colui che era stato morso dal serpente, ritrovava la fiducia in D-o e, pentendosi del suo operato, guariva.
Alcuni sostengono invece, che guardando il serpente di bronzo, si sprigionava tutta la rabbia contro il simbolo di chi lo aveva fatto soffrire e questo lo portava alla guarigione.
Secondo costoro, non saremmo davanti ad altro che al predecessore dell’antidoto al morso del serpente che è derivato dal serpente stesso, spiegando così, si troverebbe nella Torà, l’accenno ad ogni tipo di medicinale o cura per la guarigione di alcune malattie.
Fatto sta, in un caso o nell’altro, la cura primaria per la guarigione di una malattia, non è altro che la fiducia in se stessi ed in D-o che ci concede la forza per continuare a vivere.

Shabbat shalom