Di Marco Del Monte

La Parashà di Nasò contiene uno dei testi più elevati della Torah: La Birkat Kohanim- Benedizione Sacerdotale. Dopo aver benedetto il popolo con protezione, luce e grazia, la berachà si chiude con le parole: “Veyasem Lechà Shalom” “e ponga per te la pace.” 

Anche l’Amidà, la preghiera più solenne, si chiude con la Berachà di Sim Shalom, Ponga la pace , e addirittura questa benedizione finale si conclude a sua volta con le parole:“Colui che benedice il Suo popolo Israele con la Pace.” Perché tutte queste benedizioni finiscono con lo Shalom? La risposta è nella Mishnah (Uktzin 3:12): “HaKadosh Baruch Hu non ha trovato recipiente che contenga la berachà, se non lo Shalom”, e così anche il salmo citato nella parte finale recita: “il Signore benedirà il suo popolo con la pace" ( Salmi 29:11 ). Shalom condivide la radice con “Shalem” completo, e con Shilem pagare. Completo, perché la vera pace è integrazione di diversità, Pagamento, perché la pace ha un prezzo: rinunciare a qualcosa dell’ego per lasciare spazio all’altro.
E più ancora: il Talmud (Shabbat 10b) insegna che Shalom è uno dei Nomi di Hashem, non può pronunciarsi in un luogo impuro: dove non c’è santità e unione con Hashem non c’è veramente Shalom.
Proprio in questa Parashà troviamo la legge della Sotà, la donna sospettata di infedeltà.
Per verificare la verità e ristabilire Shalom Bayit, si scrive il Nome di Dio su un foglio e lo si cancella nell’acqua. Rashì spiega: “Il Nome che non si può mai cancellare, qui viene cancellato – per fare pace tra uomo e donna.” Hashem ci insegna: la pace familiare vale più perfino del Suo Nome.
E allora… quanto più dovremmo noi sacrificarci per la pace? Il Midrash (Shir HaShirim Rabbà 1:4) racconta una storia di Shalom molto commovente:
Una coppia sposata da dieci anni senza figli andò da Rabbi Shimon bar Yochai. La Halachà permetteva loro di separarsi, ma Rabbi Shimon disse: “Come vi siete uniti con gioia, così separatevi con un banchetto.” Durante il banchetto, il marito preso dallo sconforto della situazione, si ubriacò, ma prima di questo disse alla moglie che poteva prendere per lei tutti gli oggetti più preziosi della casa. La moglie acconsentì di portare con sé la cosa più preziosa che avrebbe trovato. E fu così che fece trasportare il marito, addormentato, a casa di suo padre. Al risveglio, lui chiese: “Perché sono qui?”. E lei:“Tu sei per me il bene più prezioso.” Tornarono da Rabbi Shimon che commosso, li benedisse, e meritarono finalmente un figlio.
La Berachà arrivò solo quando si rivelò il vero Shalom. Ma ora avviciniamoci di più al testo come un microscopio che rivela nuovi mondi all’interno della materia: Tutto questo è un Mashal una Parabola. La moglie siamo noi, Am Israel, Lo sposo è HaKadosh Baruch Hu. A volte ci allontaniamo da Lui. Il legame si indebolisce. Ma quando torniamo, e gli diciamo con sincerità:“Tu sei la cosa più preziosa che ho”,
si ricostruisce lo Shalom, e solo allora può arrivare la Berachà. Perché ogni Berachà – figli, parnassà, Torah, Gheulà – ha bisogno di un recipiente. E quel recipiente è solo uno: Shalom.
Non a caso si dice che la berachà per tutta la settimana viene dallo Shabbat, giorno in cui il mondo si ferma per ristabilire la pace tra Cielo e Terra, tra anima e corpo, tra l’uomo e il suo Creatore, tra l’ebreo e se stesso. Giorno in cui si canta il Cantico dei Cantici, giorno in cui si dice Boi Challà, giorno unico in cui si augura Shabbat Shalom, e questo è l’augurio per tutti noi, Shalom!