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Di Rav Alberto Sermoneta

Riprendiamo il ciclo del commento settimanale alla parashà della settimana; sabato scorso abbiano, grazie al Cielo, riaperto la lettura della Torà con la parashà di Bereshit, in cui viene descritta la Creazione del mondo e dell’essere umano, creato ad “immagine e somiglianza divina”.
Ma l’uomo, non essendo D-o, non è perfetto e subito inventa una delle più gravi colpe che lo distingue da tutti gli esseri del creato: l’omicidio; anzi per meglio dire il fratricidio, in quanto Caino, primogenito di Adamo, insorge su suo fratello Abele e, apparentemente senza alcun motivo, lo uccide.

 

Al termine della parashà di Bereshit, la Torà fa dire al Signore di essersi pentito di aver creato il mondo e l’uomo, a causa della malvagità di costui e quindi di voler distruggere tutto……
……..Ma” Noè trovò grazia ai Suoi occhi”
Così termina la prima parashà per iniziarne un’altra in cui si descrivono le doti di questo primo “zaddik” della storia, ma considerato un po’ anomalo, in quanto è detto nel testo:
“Noè era un uomo zaddik (giusto) ed integro nella sua generazione” , quindi spiegano alcuni esegeti che se fosse vissuto in un’altra generazione (quella di Abramo ad esempio), sarebbe stato, forse un malvagio.
Fatto sta però, che se il genere umano non viene distrutto completamente, è tutto merito di questo uomo!
La parte fondamentale della parashà descrive il diluvio che distrugge l’umanità ed il resto del creato, salvando soltanto Noè, la sua famiglia e gli animali che egli su comandamento divino, porta nell’arca.
La parte finale della parashà invece racconta l’episodio che va sotto il nome di “la torre di Babele” in cui gli uomini decidono di costruire una torre altissima, che li faccia ritrovare nella loro unità, ma il Signore, nel distruggere la torre, confonde le loro lingue, facendo si che nessuno possa comprendere ciò che il suo prossimo dice.
C’è però un breve episodio centrale in cui viene narrato che Noè dopo il diluvio, pianta una vigna, ne raccoglie il prodotto, fa il vino e si ubriaca, addormentandosi tutto nudo e facendosi deridere da uno dei suoi figli – Cham.
A prescindere dal comportamento di Cham suo figlio, che riceverà una punizione divina che si protrarrà nel futuro, rispetto invece al comportamento degli altri due figli Sem e Jafet, c’è da interrogarsi sul comportamento di Noè.
Come è possibile che un uomo di esperienza, ormai anziano, uno zaddik, si possa comportare in modo tanto leggero, rispetto ai figli ma soprattutto all’umanità?
Cosa mai era potuto accadere a Noè?
Se noi pensiamo che un uomo qualsiasi, davanti ad una delusione, possa perdere il ben dell’intelletto e commettere azioni impensabili, proviamo ad immaginare costui, dopo essere scampato, forse alla più grande catastrofe a cui un uomo possa assistere e scampare.
Noè subisce un trauma di dimensioni assurde assistendo ad un evento di quelle dimensioni, in fondo, pur essendo uno zaddik, era pur sempre un uomo.
L’insegnamento che noi riceviamo da questo suo comportamento è quello che anche nei momenti più difficili della vita, abbiamo il dovere di mantenere la dignità che ci distingue dagli altri, anche se temporaneamente compromessa da un breve atteggiamento di debolezza, tipica dell’essere umano.

Shabbat shalom