Di Marco Del Monte 

Nella Parashà della settimana si descrive la benedizione che Yaakov dà ai suoi figli ed ai suoi nipoti, Efraim e Menashè.

Come è noto, questa benedizione, da allora in poi, accompagnerà quel sacro nonché commovente momento del venerdì sera, in cui ogni padre poserà le sue mani sul capo dei suoi figli e li benedirà recitando: “Yesimchà E-lokim KeEfraim VechiMnashè” “Ti ponga il Signore come Efraim e come Menashè”.
Molte sono le conosciutissime spiegazioni di questa benedizione come quella che vede nelle due figure dei figli di Yosef dei rappresentanti, dei simboli, degli esempi di una forte identità ebraica: le prime persone nate nell’esilio, in Egitto, nonostante vivano e crescano in un paese dalla forte tendenza assimilativa, rimarranno ben fermi nelle tradizioni dei padri. Ogni genitore si augura che i propri figli mantengano la millenaria tradizione ebraica, e che ogni figlio sia un nuovo anello di quella lunga catena generazionale religiosa. Tra i molti insegnamenti su questa berachà, mi piacerebbe riportare un messaggio molto moderno spiegato da Rav Yona Metzgher. Esiste nella tradizione ebraica un concetto chiamato “Yeridat Hadorot”, “la discesa delle generazioni”: si crede che ogni generazione successiva possa perdere un po’ di quella forza spirituale appartenente alle “vecchie generazioni”. A tal riguardo si esprime con un linguaggio molto forte il Talmud in Masechet Shabbat 112,b: “Disse Rabbì Zeira a nome di Rava bar Zimuna: "Se le prime generazioni fossero considerate come Angeli, noi saremmo come Uomini, e se le prime generazioni fossero come Uomini, noi saremmo considerati come simili agli asini”.
Spiega Rav Metzgher, la nostra generazione è piena di stimoli complessi, la generazione del Hi-Tech, quella di molteplici strumenti informatici, Whatsapp, Facebook, Email etc. Sempre più le “vecchie generazioni” chiedono aiuto ai giovani nel gestire questi nuovi complicati strumenti tecnologici. La prova ed il rischio più grande per le nuove generazioni è quello di pensare e credere di essere migliori dei nostri predecessori. Quante volte un giovane pensa: Uff, che mentalità vecchia! Quanto sei lento! Ma no, non si fa così, non hai capito niente!!! Quanto è frequente questo tranello morale di sentirsi orgogliosi, importanti, addirittura migliori dei nostri genitori. Ecco che l’ebraismo viene ad insegnarci la giusta condotta, quella cautela necessaria per evitare di correre il rischio di denigrare il kavod dovuto a chi ha lottato, costruito, e consolidato la realtà prima di noi, per permetterci di arrivare al punto in cui siamo. Yaakov dice che Efraim e Menashè possano essere considerati come Reuven e Shimon (Gen. 48,5) cioè, spiega Rav Metzgher, che il livello comportamentale sia come quello dei predecessori, che non ci sia la dinamica chiamata “Yeridat Hadorot” la discesa delle generazioni, che si possa mantenere quella condotta morale di rispetto ed educazione nei confronti delle generazioni precedenti, le quali, per forza di cose, sono temporalmente più vicini delle successive alla donazione della Torà sul Sinai. Ogni genitore ovviamente si augura che il figlio sia migliore di lui, e che si inverta il processo di discesa delle generazioni, ma questo può avvenire solo nel momento in cui le nuove generazioni vedano il passato come un modello esemplare, come le fondamenta su cui continuare a costruire e divengano, nella loro evoluzione, custodi rispettosi di tutto ciò che li ha preceduti, come diciamo nella cerimonia dell’ Havdalà: “Veheshiv Lev Avot al banim velev banim al avotam”” “E ricondurrà il cuore dei padri ai figli e il cuore dei figli ai padri”.

Shabbat Shalom Umevorach