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Di Rav Alberto Sermoneta

Con la parashà di vaichì, si conclude il libro di Bereshit, che è considerato il libro delle origini.
Se non tutto il libro, la maggior parte di esso, tratta della vita dei tre Patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, come dal prossimo libro, quello di Shemot fino a tutto Devarim, si narra della vita di Mosè.
La parte fondamentale della parashà è quella che va sotto il nome di “Benedizione di Giacobbe” ai suoi figli.
In realtà non sono delle vere e proprie benedizioni, quanto profezie per ciò che accadrà loro ed ai loro discendenti nel futuro.

Tra le varie profezie, quella più significativa è rivolta a Giuda, il quale molto tempo prima aveva salvato Giuseppe dalla morte voluta dagli altri fratelli ed era stato colui che aveva convinto suo padre a far scendere Beniamino in Egitto.
Per Giuda ci sono profezie che si spingono fino all’era Messianica, in quanto, sul territorio che gli verrà attribuito, ai tempi di Mosè sorgerà nel futuro il Bet ha Mikdash: egli sarà colui che darà origine alla dinastia di re David. David a sua volta sarà il capostipite della discendenza di colui che salverà Israele, portandolo alla redenzione finale : il Messia.
Sul letto di morte, Giacobbe teme per il futuro dei suoi figli ed ha paura che costoro, rinnegando le loro origini, dimentichino i suoi insegnamenti e le tradizioni dei loro antenati.
Allora pronuncia al loro cospetto, la fatidica frase:
“Shemà’ Israel A’ Elohenu A’ echad” “ascolta oh Israele(in questo caso figli di Israele) il Signore è nostro D-o il Signore è unico”.
Nel midrash si racconta che i figli compresero la preoccupazione del loro padre e per rasserenarlo, pronunciarono una sorta di promessa – giuramento che noi ebrei, loro discendenti, pronunciamo ogni volta che recitiamo lo shemà’, cioè:
“barukh shem kevod malkutò le’olam vaed” “benedetto sia il nome del suo glorioso regno per sempre in eterno”.

Shabbat shalom