Di Marco Del Monte
“Gli ufficiali riporteranno le parole al popolo e diranno: C’e un uomo che è timoroso e debole di animo? Vada via e torni a casa sua, per evitare che faccia venir meno il coraggio ai suoi fratelli” (Deut. 20,8).
C’è una discussione nella Mishnà e nel Talmud (Sotà 44a) riguardo al significato di uomo timoroso e debole di animo: Rabbì Akiva dice che si riferisce alla persona effettivamente paurosa della guerra, mentre Rabbì Yosè Hagalilì interpreta questo atteggiamento di sgomento come effetto del timore e paura dei propri peccati: E’ risaputo che chi si recava in battaglia doveva essere puro, e proprio grazie a questo stato di santità si poteva vincere, avvalendosi così di dinamiche miracolose; è vero anche il contrario, cioè che quando mancava questo stato di santità, il nemico, purtroppo, aveva la meglio. A tal proposito si veda come esempio eclatante, nel libro di Giosuè, la battaglia di Ai, dove nel momento in cui Achan, un partecipante alla battaglia, peccò, i combattenti del popolo d’Israel persero tutti; quando si rettificò quel peccato tornarono vincitori, e così accade sempre.
Nella Mishnà di cui ci occupiamo Rabbì Yosè Hagalilì dice una frase particolare: Chi è il pavido e timoroso? “Hamityarè min averot sheBEYADO’”, cioè, colui che teme le trasgressioni che sono nella sua mano.
Si domanda il Ben Ysh Chay nel suo commento al Talmud “Benayahu”: perché è scritto che deve temere le trasgressioni che sono nella sua mano? Spiega il Ben Ysh Chay che secondo la Kabbalà esistono dei segni delle trasgressioni, espressi attraverso le linee della fronte e delle mani. Secondo lo Zohar, nella Parashà di Itrò, esiste un piccolo trattato di fisiognomica dell’Anima, cioè attraverso alcune conformazioni del viso, e le linee della fronte, sarebbe possibile capire molte cose della persona. Proprio da questi segni Moshè Rabbenu avrebbe dovuto distinguere chi poteva essere adeguato ad essere tra i responsabili che dovevano seguire dei sottogruppi del popolo, per suddividere tutto il lavoro che gravava su Moshè. Oltre alle linee della fronte si descrivono anche le linee della mano. La differenza tra le due, spiega il Ben Ysh Chay, che le linee della fronte evidenziano trasgressioni più gravi, mentre nella mano sono evidenziate le trasgressioni che una persona è “abituata a compiere spesso”, quelle che si ritengono, non giustamente, meno importanti come lashon harà, superbia, adulazione, invidia, bugie etc (Benayahu perek 8 su sotà 44a). Quindi chi doveva intraprendere una missione con l’esercito, se erano presenti su di lui delle linee particolari sulla fronte, segno di trasgressioni più gravi, era chiaro che non dovesse iniziare nessuna azione; ma non si doveva sottovalutare nemmeno la più piccola trasgressione, cioè quella “Beyadò”, cioè quella scritta nella sua mano, ecco perché secondo Ben Ysh Chay, Rabbi Yosè Hagalilì utilizza proprio quel termine. Ovviamente gli argomenti trattati dallo Zohar e dai Mekubbalim, non sono da prendere alla leggera, e sono studiati solo da una stretta cerchia di grandissimi maestri Tzaddikim, quasi tutti nascosti nel mondo. Questo ambito è legato ad una grandissima Kedushà-Santità ma potrebbe essere utilizzato nel peggiore dei modi, rientrando nel campo dell’impurità e di gravi divieti della Torà, per questo necessita di molta cautela.
Spero che questo breve scritto possa essere solo da spunto di riflessione sul fatto che l’ebraismo comprende oltre tutto l’universo rivelato anche un universo nascosto, ma molto affascinante. Con l’augurio di poter studiare tutto il Niglè, cioè la parte rivelata cosicché Hashem ci dia il merito di rivelarci anche la parte del Sod cioè dei segreti più eccelsi.
Shabbat Shalom Umevorach