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Di Rav Alberto Sermoneta

La parashà che leggeremo questo shabbat, nella sua parte centrale, narra dell’episodio che va sotto il nome di “ma’asè ha ‘eghel – il fatto del vitello” ossia il vitello d’oro. Nel lungo brano della tefillà che Mosè rivolge al Signore, intercedendo per il popolo, possiamo notare tutta la grandezza di quest’uomo e l’amore che nutre per il suo popolo, nonostante la grave colpa di idolatria di cui esso si era macchiato.
La figura dello zaddik, spicca in Mosè proprio quando il Signore gli comunica che da quel momento, non guiderà più il popolo nella terra di Israele, ma manderà un suo messaggero.

Mosè, nonostante la fiducia e il timore per il Signore D-o, non si arrende davanti alla decisione, ma incalza ancora di più nella sua preghiera. Appellarsi al “zekhut avot – il merito dei padri” è considerata la caratteristica del popolo ebraico, nel rivolgere al Signore le selichot - le preghiere di supplica che tanto sono gradite al Signore, in quanto tanto cari e graditi sono stati a Lui i Patriarchi. Mosé, pur di far perdonare il popolo, mette a repentaglio la propria vita, dicendo le seguenti parole:“cancella me dal Tuo libro che hai scritto”; ossia ricerca nel Signore uno scambio di personaggi ed è pronto ad offrire la propria vita in cambio di quella del popolo. Un episodio analogo a cui paragonare quello appena citato lo ritroviamo nel libro di Bereshit, quando Abramo, messo a conoscenza del disegno divino di distruggere Sodoma e Gomorra, contratta con D-o la salvezza dei suoi abitanti. Questo è l’atteggiamento dello zaddik, che pur di salvare vite umane, è pronto ad offrire la propria. Questo shabbat è immediatamente seguente la festa di Purim, in cui due persone, Mordekhai ed Ester, pur di salvare il popolo ebraico nel regno di Achashverosh, sono pronte ad offrire la loro vita. Anch’essi sono considerati zaddikim, perché grazie al loro intervento il popolo ebraico, ancora una volta è salvo e continua a vivere, osservando la Torà. Shabbat shalom