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Di Rav Alberto Sermoneta

La parashà che leggeremo questo shabbat inizia con un particolare inconsueto, quello di non pronunciare mai il nome di Mosè.
Questa cosa, non accade mai nella Torà sin dalla sua nascita fino alla sua morte, in quanto Mosè è colui al quale è comandato da D-o di rivolgersi al popolo, per qualsiasi occasione.
Più volte si è analizzata questa inconsueta problematica, dicendo di far riferimento al suo dialogo con il Signore, che mette in pericolo la sua vita pur di far perdonare e salvare il popolo dal castigo divino, in occasione del “vitello d’oro” .
Secondo il grande commentatore Abravanel, la Torà dedica ogni cosa al suo interessato e quindi il Signore parla a Mosè dicendogli di rivolgersi a colui al quale è indirizzata una certa mizvà.

Nel caso della parashà in questione, in cui si parla di tutti i vestiari e dei compiti dei sacerdoti nel Tempio, essa è rivolta completamente ad Aharon, sommo sacerdote, ma soprattutto fratello maggiore di Mosè; per questo motivo, il Signore Iddio non può mettere, almeno per questa occasione in risalto la figura di Mosè rispetto a quella di Aharon.

Sembra quindi allora, che il rispetto per le persone più grandi sia ancora più importante del rispetto per i titoli onorifici stessi.
Da qui si impara una halakhà fondamentali di comportamento:
Quando il rav sale al Sefer tutta la Comunità presente si alza in piedi, ma se in Tempio si trova il padre o un fratello più grande questi non si alzano, perché essendo più grandi di età sembrerebbe una mancanza di rispetto per loro  in quanto è scritto “mippenè sevà takkum” “davanti alla vecchiaia alzati” e la vecchiaia è sinonimo di saggezza.
Shabbat Shalom