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Di Rav Alberto Sermoneta

L'importanza di questa parashà è quella che, secondo la maggior parte dei commentatori, è stata dettata al popolo ebraico nello stesso contesto della promulgazione del Decalogo, nello stesso sacro momento.
Uno degli enunciati della parashà stessa ci dice: "Non maledire il sordo e davanti al cieco non mettere inciampo".
Quando la Torà nomina il sordo e il cieco non intende limitarsi a coloro che sono menomati fisicamente bensì redarguisce in modo forte coloro che, agendo alle spalle del proprio prossimo - tanto più appartenente al proprio popolo - gli provocano del male.
Questi e molti altri imperativi, si trovano all'interno di un forte enunciato, all'inizio della parashà; è un forte imperativo che suona con le parole:
"Kedoshim tijù ki kadosh anì A' Elohekhem - Siate santi come Santo sono Io il Signore vostro D-o".

È una grossa responsabilità quella di cui ci ha investiti il Signore nostro D-o.
Abbiamo l'onere di guardarci bene all'interno delle nostre coscienze, prima di guardare in faccia nostro fratello.
Un famoso maestro della tradizione ashkenazita, sostiene che per essere kedoshim, dobbiamo riuscire a sentire il dolore e la sofferenza del nostro fratello, aiutandolo come se fossimo noi stessi.
Soltanto quando saremo in grado di comportarci così potremo essere un unico Uomo e soltanto quando saremo un unico uomo, saremo kedoshim.
Questo shabbat inizieremo la lettura dei "pirkè avot", fino al sabato che precede la festa di Shavuot.
In una delle massime del primo capitolo, troviamo scritto:
"Sia la tua casa il luogo di incontro dei chakhamim, attaccati alla polvere dei loro piedi e bevi a volontà le loro parole".
Dove si incontrano i Maestri, non può esserci inganno, vanità e menzogna; così spiegano i commentatori.
I rabbini non ingannano né agiscono mentendo, piuttosto ti riprendono, anche con la forza, se lo meriti, ma sappi che nessuno di loro mentirà o agirà con inganno, piuttosto subiscono menzogne e inganni!

Shabbat shalom