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Di Rav Alberto Sermoneta

La parashà di Kedoshim è un codice più che di normativa, di etica ebraica o sociale in genere.
Non c'è in essa infatti, riferimento soltanto alla vita ebraica, ma come gli ebrei debbono confrontarsi con tutti i popoli che li circondano: sia in Israele che fuori di esso.
Uno dei grandi insegnamenti che troviamo nella parashà ci dice:
"non maledire il sordo e davanti al cieco non mettere inciampo".
Il comandamento può avere sia valore reale, ossia non maledire colui che non può sentirti perché sordo e non far inciampare colui che non vede; può infatti essere inteso anche in senso metaforico: cioè non parlare male o non ostacolare chi non ti vede.
Il versetto si conclude con le parole "...e avrai timore del tuo D-o io sono il Signore".
Questo verso calza perfettamente con una massima del secondo capitolo dei pirkè avot, capitolo che leggeremo proprio questo shabbat.
La massima dice: " Tieni sempre presenti (nella tua vita) tre cose, per non cadere mai nel peccato; sappi chi c'è sopra di te, un occhio che vede, un orecchio che ascolta e tutto è scritto su di un libro".
Molte volte, anche in buona fede ci lasciamo sfuggire di bocca, delle considerazioni su qualcuno che non è presente, convinti che egli non saprà mai cosa si è detto di lui.
Invece non teniamo mai conto, che ogni nostra azione è registrata su di un libro e che soltanto con la nostra volontà, di far teshuvà è possibile cancellare.

Shabbat shalom