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Di Rav Alberto Sermoneta

Con queste due parashot che leggeremo questo shabbat, si conclude il terzo libro della Torà, il libro di vaikrà.Le parashot parlano entrambe del rapporto fra D-o, il popolo ebraico e la terra di Israele, fortemente legati l’uno all’altro.Il popolo ebraico che ha il dovere dell’osservanza della Torà e delle mizvot per garantirsi su quella terra, una vita buona e tranquilla; viceversa la trasgressione delle mizvot ed un comportamento immorale causano un rigetto da parte della terra stessa dei suoi abitanti.La terra Israele oggi, è considerata all’avanguardia sia dal punto di vista della ricerca scientifica, della ricerca e dello sviluppo nel campo della tecnologia, ma soprattutto all’avanguardia nella ricerca, nello sviluppo e nel campo dell’agricoltura.

Soprattutto, sotto quel punto di vista Israele, può considerarsi maestro, perché è riuscito a sviluppare tecniche innovative, per portare acqua nei luoghi più lontani e desertici.
Oggi la terra di Israele è un giardino anche in quelle zone che fino a cento anni fa erano deserto! Perché tutto ciò?
Nella Torà la terra di Israele viene chiamata “terra stillante latte e miele”, ma tutti sappiamo che essa si trova in una condizione geografica piuttosto arida e montuosa.
Eppure ogni qualvolta il popolo ebraico l’ha abitata, è riuscito a trasformarla in rigogliosa e fertile, mentre ogni qualvolta è stato costretto ad abbandonarla, essa, in mano ad altre popolazioni è tornata ad essere arida.Dobbiamo chiederci se è la presenza del popolo ebraico a dare alla terra questo aspetto di fertilità oppure sono le altre popolazioni che non riescono a lavorarla per arrivare a questa condizione? La risposta la troviamo nella prima parola della seconda parashà – Be Chukkotai; essa inizia con il termine ebraico “im – se”, una condizione.“se camminerete nei miei statuti e osserverete i miei precetti, mettendoli in pratica, Io manderò le piogge a voi necessarie a loro tempo e la terra darà il suo prodotto e gli alberi dei campi daranno i loro frutti; la vostra trebbiatura durerà fino alla vendemmia, la vendemmia durerà fino alla semina, mangerete il vostro prodotto a sazietà e risiederete tranquilli nel vostro paese”.
Questa è la promessa divina al popolo, alla quale viene posta però una condizione: se; cioè, se voi osserverete le leggi della Torà, sarete premiati, viceversa sarete puniti.Infatti dal verso 4 del medesimo capitolo, noi troviamo descritta la punizione nel caso contrario:“ ma se non osserverete tutti questi precetti……….”; questo brano, definito “tochachot – ammonimenti, descrive tutto ciò che potrebbe capitare al popolo nel caso in cui trasgredisse le regole della Torà.È questa una condizione di do ut des che il Signore D-o pone al popolo, per consegnargli un territorio dove poter vivere e manifestare le proprie tradizioni.
È concepibile che un D-o possa scambiare un baratto con quello che da Egli stesso viene definito “’am segullà, mamlekhet kohanim ve goi kadosh – popolo speciale possedimento, reame di sacerdoti e popolo santo ecc…”? Tutto ciò va letto in un contesto ben più profondo, un contesto in cui un D-o che non ha gli stessi sentimenti di un essere umano: fa delle raccomandazioni (che possono sembrare umane) ad un popolo nello stesso modo in cui un genitore può fare con suo figlio, lo mette in guardia dai pericoli che gli stanno intorno e gli indica la strada giusta per evitarli. È un dato di fatto quello che ogni volta che il popolo ebraico è stata portato fuori della terra di Israele, la stessa terra, “stillante latte e miele” si è ritrovata arida e desertica, senza che nessuna delle popolazioni che la hanno abitata avesse potuto nulla dinnanzi a quella situazione. Viceversa, ogni volta che il popolo ebraico, nel corso dei millenni è riuscito a riaverla, ha fatto di quel deserto un giardino fiorito.“Im be chukkotai telekhu – se camminerete nei miei statuti” fintanto che esisterà chi continua a studiare e ad osservare le regole della Torà, nulla potrà cambiare questa promessa fatta da D-o al suo popolo.

Shabbat shalom