Di Rav Alberto Sermoneta
Nella parashà che leggeremo questo shabbat, la torà descrive ciò che accadde l’ottavo giorno dell’inaugurazione del Mishkan.
Sin dalle parashot di terumà e tezzavvè fino alle prime due parashot del libro di Vaikrà, la Torà si è occupata principalmente della costruzione del Tabernacolo mobile, della fabbricazione degli abiti sacerdotali e degli strumenti che occorrevano al culto sacrificale, fino ad arrivare alla codificazione di esso, attraverso delle regole rigorose, che serviranno per lo più a limitare le offerte sacrificali ad alcuni momenti della giornata.
L’ottavo giorno di cui si parla è l’ottavo giorno dell’inaugurazione del Mishkan – Chanuccat ha mizbeach, cerimonia che, secondo il racconto della Torà, dura dodici giorni, tanti quante erano le tribù di Israele, le quali ogni giorno a turno offrivano un sacrificio.
I Maestri di Israele sostengono, che proprio in quell’ottavo giorno, come promesso sin dalla parashà di terumà, la presenza divina – la shekhinà – scende dal cielo e si posa sul mishkan.
“ Ed uscì un fuoco dal cospetto divino e consumò sull’altare l’olocausto e i grassi. E il popolo vide e giubilò e si prostrarono a terra”.
Non è la terra ed i suoi abitanti ad elevarsi al cielo, bensì il Signore a scendere verso gli abitanti della terra; ciò è una innovazione che, anche ai nostri giorni molte confessioni religiose diverse dall’ebraismo, stentano a capire.
Con questo versetto si conclude o inizia la storia del mishkan, ma soprattutto il popolo assiste alla manifestazione divina ed alla Sua presenza costante sul mishkan.
Gli esegeti sostengono che ciò avviene grazie all’espressione con cui la Torà inizia il brano in questione: “vajhì bajom ha sheminì – e fu all’ottavo giorno…”; la stessa espressione è quella che si può leggere all’inizio del testo della Torà, “vajhì erev vajhì boker jom echad – e fu sera e fu mattina fu il primo giorno”.
Come il Signore agisce spontaneamente, con volontà alla creazione del mondo, così agisce volontariamente alla presenza sul Mishkan .
C’è un vincolo forte fra il Cielo e la Terra ed il Mishkan: come il Cielo e la Terra sono gli eterni testimoni della Creazione del mondo Opera Divina, così il Mishkan è testimone della presenza di D-o in mezzo al popolo e del legame indissolubile fra D-o, la Torà e il popolo stesso.
Questo shabbat, il primo dopo la festa di Pesach e inizieremo a leggere per sei sabati consecutivi, fino a quello prima di Shavu’ot il trattato della Mishnà chiamato “Pirkè avot – i capitoli dei Padri”.
Esso è un trattato di Mishnà, composto da cinque capitoli più un sesto aggiunto in seguito, chiamato “avot de rabby Ishmael” in cui si possono leggere massime, insegnamenti ed enunciati di quelle che furono le generazioni rabbiniche che si susseguirono al tempo della Mishnà.
Ogni capitolo, perek è suddiviso in mishnaiot – paragrafi.
La quarta mishnà del capitolo uno, che leggeremo proprio questo shabbat ci insegna:
“Josè figlio di Joezer di Zeredà e Josè figlio di Jochannan di Gerusalemme ricevettero la tradizione dai loro maestri precedenti;
Josè figlio di Joezer di Zeredà diceva: fa che la tua casa sia luogo di incontro per i sapienti; avvolgiti nella polvere dei loro piedi e bevi con sete dalle loro parole.”
Il testo ci insegna il rispetto che bisogna avere dei maestri (più avanti dirà che il maestro è colui che ti insegna anche solo una lettera), ma soprattutto la condizione di devozione per quelli che sono, sia il loro comportamento, sia il loro insegnamento.
Fa si, che ogni loro gesto possa procurarti un guadagno proficuo di cultura e conoscenza.
Forse oggi bisognerebbe scrivere questa massima a caratteri cubitali sui muri delle strade del mondo, in quanto non esiste più la cognizione del rispetto e dell’onore verso chi è più grande di noi e verso chi ha fatto della sua esperienza il modo di vivere!