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Di Rav Alberto Sermoneta

Lo Shabbat che precede la festa di Pesach è chiamato dalla tradizione rabbinica con l'appellativo di Shabbat ha gadol, anche se non è un sabato fra quelli chiamati “segnalati”, anche se non vi è un secondo sefer da leggere con un brano inerente, come è stato fatto per i quattro sabati precedenti, chiamati appunto “speciali”, nonostante ciò è un sabato diverso dagli altri.
L'aggettivo “gadol”- grande- è preso da un versetto della Haftarà che leggeremo in esso e che, a differenza dei comuni sabati è, in questo caso, inerente la giornata.
L'Haftarà è un brano del Profeta Malakhì cap.3 vv.4-24, in cui si parla del “Giorno del Signore” in cui verrà fatta giustizia di coloro che soffrono e verso coloro che li opprimono.

Questo sarà il giorno in cui trionferà la giustizia divina, che sarà preceduto dalla venuta del Profeta Elia, il quale secondo la tradizione biblica, non sarebbe morto ma rapito da un carro di fuoco, per poi tornare ad annunciare la Redenzione finale proprio durante la celebrazione del Seder la sera di Pesach.

Il brano si conclude con le parole: << ...ecco sta arrivando il giorno del Signore grande e terribile>>;
Il termine grande quindi, non è riferito allo Shabbat, in quanto nella lingua ebraica è femminile, ma al giorno della giustizia divina; per cui l'appellativo di Shabbat Ha Gadol può essere tradotto con “il sabato del Grande” ossia del grande evento che sarà la redenzione completa del popolo di Israele.
Lo Shibbolè ha Leket ( opera di halakhà italiana composta da Rabby Zidkijau ben Avraham ha Rofè da Roma) racconta in
“regole per il sabato che precede la festa di Pesach chiamato Shabbat ha Gadol”
Egli dice:
<< Ho trovato nell'opera PARDES di Rabbenu Shelomò che, il sabato che precede Pesach si usa chiamarlo Shabbat ha Gadol ed il motivo è che dato che, nel mese di Nissan, dell'anno in cui sono usciti dall'Egitto i figli di Israele, Pesach cadde di Giovedì perché così è detto nell'ordine delle cose.
Il prelevamento del capretto per il sacrificio ( Es. cap. 12 VV. 26 e seg.) al decimo giorno del mese, era di sabato e gli Ebrei ebbero paura di rimanere vittime degli egiziani che consideravano sacri quegli animali ( << ...ecco come possiamo sacrificare ciò che gli egizi considerano sacro, per questo non ci lapideranno?>>).
Il Santo Benedetto Egli sia disse al popolo che ciò non sarebbe avvenuto perché a causa dei loro gravi problemi di salute (Il midrash racconta che furono colpiti da una pestilenza che gli impedì di uscire dalle loro case mentre sentivano belare i capretti che erano tenuti in serbo dagli ebrei) non avrebbero potuto interferire con quello che gli ebrei stavano facendo>>.
Questo fu un grande miracolo, avvenuto proprio lo Shabbat precedente l'uscita dall'Egitto>>.( Shibbolè ha leket cap. 205 )
Un altro motivo per cui si chiama Shabbat ha Gadol è che durante la preghiera mattutina di quello shabbat, si ascoltava il sermone del Rabbino che si protraeva per spiegare le minuziose regole della festa fino a dopo mezzogiorno; essendo quindi molto lunga la durata della tefillà era come se fosse un sabato molto più lungo dei sabati regolari e fu definito sabato del grande.
E' per questo motivo che in tutte le Sinagoghe del mondo, si è mantenuto questa usanza e durante le preghiere del mattino di questo shabbat è uso che il Rav tenga una particolare derashà riguardante le minuziose regole della festa di Pesach, delle regole sull'eliminazione del chamez, considerato il divieto più rigoroso di questa festività, e le regole per la celebrazione del seder che deve iniziare ad essere preparato da subito dopo il bi'ur chamez – la bruciatura del chamez.
Spiegano i Maestri della Mishnà a proposito di ciò:
<< al tikrè chamez ellà chamas>> << non leggere chamez che significa lievito ma leggi chamas che vuol dire violenza>>.
La violenza è un sentimento dell'uomo che gli impedisce di aver rispetto per il prossimo, ma gli impedisce anche di ragionare sulle cose; lo rende quindi schiavo del suo istinto animalesco.
Il divieto di cibarsi di chamez quindi, è l'invito all'uomo di considerarsi alla stregua del suo prossimo dandogli la facoltà ed il diritto di esprimere la propria opinione, rispettandolo come se stesso.
E' per questo che la Mazzà che se D-o vorrà, inizieremo a mangiare da lunedì sera per otto sere, chiamata “lechem 'oni” “il pane dell'umiltà” deve essere il monito a chiunque la mangi di ricordasi che essendo stati schiavi in Egitto per oltre quattrocento anni, nessuno come gli Ebrei sa apprezzare la Libertà, che non vuole significare Anarchia, ma rispetto di se stesso, delle leggi che lo rendono uguale al prossimo, senza differenza di ceto sociale.

A tutti Shabbat Shalom