Di Rav Alberto Sermoneta
“Esh tamid tukkad ‘al ha mizbeach lo tikhbè” “un fuoco eterno verrà acceso sull’altare, non lo spegnerai”
Questo è uno degli imperativi che la Torà comanda riguardo il Tempio sul cui altare doveva essere perennemente acceso un fuoco eterno, che non doveva mai essere spento.
Per questo motivo, nella Mishnà si parla delle “mishmarot” turni di veglia che dovevano essere fatti dai Sacerdoti, per verificare che il fuoco non si spegnesse mai.
Secondo alcuni Maestri il fuoco del Mizbeach, viene oggi simboleggiato dalla lampada che arde perennemente davanti all’Aron Ha Kodesh e che viene chiamato “Ner Tamid”.
Il fuoco simboleggia nella tradizione ebraica l’eternità della Torà e del popolo ebraico che ne osserva i precetti; esso viene esaltato soprattutto durante la festa di Chanuccà, in cui accendendo per otto giorni la lampada di Chanuccà, ricordiamo che il popolo ebraico, nonostante le numerose persecuzioni, non è mai stato cancellato dalla faccia della terra, come invece pretendevano di fare i nostri nemici.
Le sacre scritture ci insegnano dicendo:
“ ki ner mizvà ve Torà or” – se la mizvà (il precetto) è un lume, la Torà è la luce; il mizbeach era uno di quegli oggetti, particolarmente sacri, che era posizionato nei pressi del luogo dove era custodito l’Aron Ha Berit – l’Arca dell’Alleanza, in cui c’erano le tavole della Legge ed un rotolo della Torà, che secondo la tradizione era stato scritto direttamente da Mosè.
L’obbligo quindi di studiare la Torà, osservando scrupolosamente i Suoi precetti, servono a far sì che noi ebrei possiamo distinguerci da tutti gli altri popoli, perché il nostro popolo è diverso dagli altri.
Questo shabbat è il secondo dei quattro sabati “segnalati” ed è chiamato “shabbat zakhor” ed è lo shabbat in cui ricordiamo, uno dei tanti momenti della nostra storia, in cui la vita del nostro popolo, o almeno parte di esso, fu messa in pericolo, proprio a causa della nostra diversità di vita.
E’ lo shabbat che precede la festa di Purim, in cui ricordiamo la regina Ester che riuscì a scongiurare il pericolo occorso dagli ebrei nel regno di Achashverosh, a causa di Aman, che decretò l’uccisione di tutta la Comunità del regno di Achashverosh, soltanto perché gli ebrei avevano delle regole diverse da osservare.
Aman, come tutti i persecutori del nostro popolo ne decretò lo sterminio, senza distinguere uomini, donne, vecchi e bambini, proprio come fece un altro nemico del passato Amalek, e ancora un altro del nostro presente (non lo nominiamo per rispetto alla sacralità del popolo ebraico e della Torà).
Amalek è considerato dagli esegeti biblici, la negatività assoluta, non c’è un modo per farlo ricredere sul suo operato; non vi è alcuna speranza di stipulare alcuna pace con lui.
L’unica soluzione al problema è quella di cancellare il suo nome dalla faccia della terra, sradicare le sue radici, in modo che non possa più risorgere.
Nel brano di Torà che leggeremo nel secondo sefer, è scritto “zakhor et asher ‘asà lekhà ‘Amalek” “ricorda ciò che ti fece Amalek” è un imperativo positivo (mizvat ‘asè), ossia ricordare, attraverso l’insegnamento ai posteri, le esperienze della vita passata, in modo che i giovani possano rendersi conto del male che è stato fatto al nostro popolo.
Ma il brano termina invece con una mizvat lo ta’asè (precetto negativo) “lo tishkach” “non dimenticare”.
Il famoso commentatore biblico Rabby Shelomò ben Izchak – più famoso con lo pseudonimo di RASHI’, spiega i due verbi usati in un brano così breve, dicendo che “ricorda” e “non dimenticare” non sono dei sinonimi, ma essi sono due imperativi e quindi due mizvot diverse fra loro:
“zakhor ba pè, lo tishkach min ha lev” ossia, “ricorda” attraverso il racconto e l’insegnamento ai propri figli di tutta la nostra storia e del male che ci è stato fatto, “non dimenticare” attraverso il ricordo perenne nei nostri cuori, per non dimenticare facilmente, con “atto di facile bontà” tutto il male che ci è stato fatto e che ancora oggi, viene rinnovato al nostro popolo, in ogni momento della nostra vita, in ogni luogo della terra.
Nella preghiera di Shachrit del giorno di Purim, leggiamo nel Libro dell’Esodo il brano in cui si racconta proprio dell’attacco di Amalek al popolo ebraico, appena uscito dall’Egitto e dopo aver attraversato il Mar Rosso.
Il brano termina con la promessa divina in cui è detto:
“ki machò emchè et zekher ‘Amalek mittachat ha shamaim” “poiché cancellerò il ricordo di Amalek da sotto il Cielo”
E’ quella con Amalek, non soltanto una guerra tra uomini, ma una guerra diretta fra lui e D-o, il Quale, non avrà completezza finchè Amalek non sarà sconfitto definitivamente in tutta la sua discendenza.
“ki jad ‘al kes Jah milchamà l’ A’ ba ‘Amalek mi dor dor” “poichè la mano del Signore è alzata sul Suo trono per giurare di combattere Amalek di generazione in generazione”.
Fanno notare che la parola “trono” è scritta in modo incompleto “kes” invece di “kissè”, perché, persino il trono divino, non avrà raggiunto la sua completezza finchè ci sarà un Amalek.
Dedicato a tutte le vittime dell’antisemitismo antico e moderno, ed in memoria della famiglia Fogel, trucidata nell’insediamento di Itamar in Israele, venerdì sera scorso mentre stavano trascorrendo shabbat. Jehì zikhram barukh – sia il loro ricordo degno di benedizione.