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Di Rav Alberto Sermoneta

Questo shabbat, anche se non rientra nella serie dei sabati segnalati che vanno da quello prima del capo mese di Adar – shabbat shekalim, a quello in cui si annuncia il mese di Nissan – shabbat ha chodesh, è pur sempre considerato uno shabbat particolare, anzi di grande importanza in quanto è il sabato che precede la festa di Pesach.Il “sabato del grande” è così che viene tradotto, in quanto si annuncia in esso, il grande evento della liberazione dalla schiavitù d’Egitto che simboleggia ogni liberazione da ogni tipo di schiavitù ed oppressione.

La nota storica di questa denominazione “shabbat ha gadol” risale proprio al tempo dell’uscita dall’Egitto e cioè, secondo i commentatori il giorno della settimana in cui cadde la festa di Pesach, nell’anno in cui gli Ebrei furono liberati dalla schiavitù era giovedì e quindi di conseguenza, il giorno in cui hanno preso il capretto e iniziato a tenerlo da parte per il “korban pesach – il sacrificio pasquale” con il cui sangue tinteggiare le porte delle abitazioni degli ebrei, per permettere all’Angelo della morte di oltrepassarle e colpire i primogeniti egiziani, era sabato.È possibile pensare che gli egiziani, che veneravano questi animali come divinità, avessero chiesto agli ebrei il motivo di tale comportamento; la risposta che essi dovevano dare è quella indicata proprio dal testo della Torà che dice: «quando gli egiziani vi chiederanno che cosa vuol dire questo che voi fate, risponderete che il Signore ha comandato di prendere, il decimo giorno del mese, un capretto di un anno, maschio e integro e di tenerlo in serbo fino al quattordicesimo giorno di esso; quindi in quel giorno, sul far del pomeriggio, immolarlo e con il sangue, tinteggiare gli stipiti e gli architravi delle porte delle abitazioni, poiché il Signore, riconoscendo in quelle le case degli ebrei, sarebbe passato oltre, mentre avrebbe colpito tutti i primogeniti egiziani senza alcuna distinzione fra i reali e gli schiavi e ognuno dei primogeniti delle bestie».Naturalmente il “grande” miracolo sta nel fatto che gli egiziani, talmente disperati e ridotti in ginocchio dalle altre piaghe, non compresero ciò che gli ebrei gli dicevano, lasciandogli così la possibilità di agire indisturbati, preparandosi all’uscita dall’Egitto.Una bambina, a lezione mentre si spiegava questa storia, mi ha chiesto: «Vista la possibilità divina di vedere da ogni parte e quindi anche dentro le case, se un ebreo o la sua famiglia, non tingeva gli stipiti delle porte ed il suo architrave, il Signore avrebbe colpito o no i primogeniti ebrei?». Forse la risposta sta anche nel fatto che gli ebrei superarono la prova del capretto, grazie non solo alla fiducia in D-o, ma anche alla volontà di non vergognarsi di appartenere al popolo ebraico; cioè, se una famiglia ometteva di tinteggiare il proprio portone d’ingresso, non era tanto per dimenticanza, quanto per vergogna di dimostrare l’appartenenza al popolo.A quel punto, dimostrando la propria assimilazione, non era meritevole di essere liberata.La stessa risposta è quella che la Torà, attraverso la lettura della Haggadà, dà al malvagio che non si riconosce nella identità ebraica, chiedendo spiegazioni di quella cerimonia, considerandosi però, estraneo alla tradizione “cosa è ciò che voi state facendo?”.I Maestri rispondono che se egli fosse vissuto in Egitto, non sarebbe mai stato liberato.

Shabbat shalom