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Di Rav Alberto Sermoneta

Nella parashà di zav si continua la carrellata delle offerte sacrificali che ogni ebreo doveva offrire al Tempio durante la sua vita e nelle varie occasioni.
L'olà era il sacrificio più cruento, che vedeva l'offerta di un intero animale che, dopo essere stato macellato, veniva posto sui tizzoni ardenti del mizbeach - l'altare dei sacrifici, tutta la notte fintanto che non fosse bruciato completamente.


Di Rav Alberto Sermoneta

SHABBAT HA GADOL
"Hinnè Anokhì sholeakh lakhem et Elihà ha navì lifnè bo jom A' ha gadol ve ha norà"
Ecco Io sto inviando a voi il Profeta Elia, prima della venuta del giorno del Signore, grande e terribile".

Questo è l'ultimo verso della haftarà che leggeremo questo shabbat e che da il nome ad esso: shabbat ha gadol.

È il sabato, oltre che del grande evento, anche della speranza.
Per il popolo ebraico, nulla ha avuto mai tanta forza, quanto la speranza che il domani sia migliore di oggi.


Di Rav Alberto Sermoneta

Con la seconda parashà, il libro di Vaikrà continua l'elenco delle regole sull'istituzione dei Sacrifici:
quelli chiamati "olà" per cui si bruciava interamente l'animale, "zevach" dove si offrivano solo alcune parti dell'animale e "Shelamim" che erano i sacrifici di ringraziamento ed altri sacrifici farinacei.
Questo shabbat è il secondo dei quattro sabati chiamati "segnalati" che cadono in prossimità delle festività di Purim e Pesach.
È shabbat zakhor, il sabato che precede Purim, in cui si legge il brano che contiene l'ordine di ricordare ed insegnare, ciò che Amalek fece al popolo ebraico, all'uscita dall'Egitto e che continua a fare il male, attaccando sempre alle spalle, colpendo le persone più deboli del nostro popolo.


Di Rav Alberto Sermoneta

La parashà di zav è la seconda parashà del libro di Vaikrà; come la prima, quella che abbiamo letto lo scorso shabbat, continua a descrivere i sacrifici che dovevano essere offerti nel Mishkan e in seguito nel Tempio di Gerusalemme.
Nel descrivere il mizbeach, l’altare dove venivano bruciati i sacrifici, la Torà insegna qualcosa che, nonostante l’ormai non consueta pratica dei sacrifici, è tuttora il simbolo del nostro popolo.
E’ scritto “ esh tamid tukad ‘al hamizbeach lo tichbè – un fuoco eterno brucerà sul mizbeach (altare) non lo spegnerai”.



Di Rav Alberto Sermoneta

Questo shabbat, anche se non rientra nella serie dei sabati segnalati che vanno da quello prima del capo mese di Adar – shabbat shekalim, a quello in cui si annuncia il mese di Nissan – shabbat ha chodesh, è pur sempre considerato uno shabbat particolare, anzi di grande importanza in quanto è il sabato che precede la festa di Pesach.Il “sabato del grande” è così che viene tradotto, in quanto si annuncia in esso, il grande evento della liberazione dalla schiavitù d’Egitto che simboleggia ogni liberazione da ogni tipo di schiavitù ed oppressione.


Di Rav Alberto Sermoneta

“Esh tamid tukkad ‘al ha mizbeach lo tikhbè” “un fuoco eterno verrà acceso sull’altare, non lo spegnerai”
Questo è uno degli imperativi che la Torà comanda riguardo il Tempio sul cui altare doveva essere perennemente acceso un fuoco eterno, che non doveva mai essere spento.
Per questo motivo, nella Mishnà si parla delle “mishmarot” turni di veglia che dovevano essere fatti dai Sacerdoti, per verificare che il fuoco non si spegnesse mai.
Secondo alcuni Maestri il fuoco del Mizbeach, viene oggi simboleggiato dalla lampada che arde perennemente davanti all’Aron Ha Kodesh e che viene chiamato “Ner Tamid”.


Di Rav Alberto Sermoneta

Lo Shabbat che precede la festa di Pesach è chiamato dalla tradizione rabbinica con l'appellativo di Shabbat ha gadol, anche se non è un sabato fra quelli chiamati “segnalati”, anche se non vi è un secondo sefer da leggere con un brano inerente, come è stato fatto per i quattro sabati precedenti, chiamati appunto “speciali”, nonostante ciò è un sabato diverso dagli altri.
L'aggettivo “gadol”- grande- è preso da un versetto della Haftarà che leggeremo in esso e che, a differenza dei comuni sabati è, in questo caso, inerente la giornata.
L'Haftarà è un brano del Profeta Malakhì cap.3 vv.4-24, in cui si parla del “Giorno del Signore” in cui verrà fatta giustizia di coloro che soffrono e verso coloro che li opprimono.