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Di Marco Del Monte

“Haazinu Hashamaim Vadabera Vetishmà Haaretz imrè fì” “Porgano orecchio i cieli e parlerò, Ascolti la terra le parole della mia bocca”. Molteplici significati sono racchiusi nella parte iniziale della nostra Parashà.

I Chachamim, ed in particolar modo Rashì, spiegano che Moshè, nel suo discorso finale, chiama come testimoni i cieli e la terra, come elementi eterni che possano testimoniare nei confronti di Israel in duplice modo: Nel caso in cui non si seguano le vie dell’Eterno, non arriveranno piogge e frutti della terra; oppure, nel caso si seguano le vie di Hashem, arriveranno ogni sorta di Berachot naturali. Lo stesso concetto lo potremmo ritrovare in forma simile in Masechet Berachot 5a dove è scritto: Quando una persona vede che gli sopraggiungono delle sofferenze, indaghi nelle proprie azioni, come a dire che Hashem manda dei segnali per poter farci capire qual è la retta via. In questo senso i chachamim spiegano che l’uomo è costituito da corpo e anima, cielo e terra, e Moshè rappresenta il prototipo del Maestro, sia esterno che interiore. Da un punto di vista psicologico potremmo vedere il discorso di Moshè come una sorta di esame introspettivo dell’uomo e della sua coscienza. Shamaim, Cieli rappresentano anche le persone più elevate, e Haaretz, la terra, le persone che lo sono meno, in questo senso potremmo interpretare questa dicotomia come riferita ai nostri “alti” e “bassi” nella vita. Haazinu[…]Vadabera, sono linguaggi duri, con valenze di rigorosità elevate, mentre “Tishmà[…]imrè fi” è un linguaggio più morbido, potremmo dire molto misericordioso. La differenza può essere spiegata in vari modi alcuni tra i quali sono i seguenti:

Nei momenti in cui siamo forti, energici, siamo come si suol dire al “settimo cielo”, dovremmo spronarci a voler sempre un po’ di più, dovremmo essere più esigenti con noi stessi e cercare di essere sempre migliori; Ma, purtroppo, la vita ci riserva anche momenti in cui ci sentiamo “a terra”, allora non dovremmo essere troppo duri con noi stessi, autogiudicandoci come falliti, deboli, non competenti, al contrario dovremmo usare un linguaggio più dolce e auto consolante per riprendere il volo. In questo senso, quando si presentano nella vita situazioni molto difficili, periodi intensi, stressanti, è forse perché Kadosh Baruch Hu sa che può dare le sfide più difficili solo alle Neshamot più elevate, chiamate Shamaim, come insegna magistralmente Rabbì Nachman nel suo libro “La sedia vuota”: “Non ti viene dato un ostacolo che tu non sia in grado di superare”, quindi più l’ostacolo è grande, più grande è la nostra forza, anche se noi non ce ne rendiamo conto, gli eventi che ci succedono “testimoniano” di fatto questo potenziale. L’ostacolo ovviamente è funzionale a ricevere una ricompensa maggiore, quindi deve essere visto come una personale sfida per poterci mettere in gioco, in questo grande percorso chiamato vita .

Con la Berachà che ognuno di noi possa essere sempre in capo e mai in coda, così da avere ogni Berachà del cielo e della terra, ogni berachà spirituale e materiale.

Shabbat Shalom e Gmar Chatimà Tovà