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Di Moshè Marco Del Monte
Shabbat Parà

Questo Shabbat leggeremo due parashot, la Parashà di Ki tissà e la Parashat Parà, la parashà che descrive l’atto di purificazione attraverso le ceneri della vacca rossa.

Molti sono gli argomenti di queste due parashot ma alcuni credo siano legati nella loro essenza da un concetto molto importante, e cioè la possibilità di trasformare anche il lato più negativo in qualcosa di estremamente positivo.
Nella Parashà si parla della composizione del Ketoret, dell’incenso sacro. All’interno di questo incenso che emanava una fragranza meravigliosa, troviamo un ingrediente dall’odore estremamente sgradevole, il Helbenà, Il Galbano. La cosa può sembrare molto strana ma ci spiega Rashi il senso metaforico: La Scrittura lo enumera tra le spezie dell'incenso per insegnarci che non dovremmo considerare come una cosa da poco il dovere di associare con noi dei trasgressori quando ci riuniamo per digiuni e preghiere poiché anche i trasgressori dovrebbero essere considerati come noi stessi ( Keritot 6b ). Ecco che anche le lettere della parola “Tzibur -צבר” “Pubblico” formano le iniziali delle tre componenti del popolo d’Israel cioè “Tzaddikim” “Benonim” “Rechokim” cioè giusti, intermedi, e persone ancora lontane, solo così si raggiunge la completezza, non escludendo, bensì includendo e trasformando anche la spezia più sgradevole in qualcosa di migliore, dove anche le spezie profumate, nel rapportarsi e mischiarsi ad una non profumata, ne acquisiscono un potenziale maggiore, tutto dipende dall’utilizzo di ogni caratteristica. Ecco che esiste un vitello d’oro che rende impuri mentre esiste una cenere, proprio di una vacca, rossa, che riesce a purificare. Per riuscire però a trasformare e trasformarsi a volte c’è bisogno di una rottura, di una demolizione di una vecchia costruzione erronea, al fine di costruirne una nuova: Il vitello d’oro verrà triturato in polvere e fatto bere al popolo, si devono distruggere vecchi “Idoli” mentali per potersi meritare le Tavole della Legge, così come Abramo distrusse ogni idolo per meritare di essere chiamato “Ivrì”. Se questa distruzione del male non avviene, uno Tzaddik deve essere pronto anche a sacrificarsi per aiutare a rendere meritevole ed aiutare anche un malvagio a trasformarsi, proprio per questo Moshè è pronto a distruggere le Tavole per non rendere il popolo ulteriormente colpevole: non si può fare idolatria proprio davanti alla Torà, meglio prima migliorarsi, questo permette in ogni caso di ricevere delle nuove Tavole; Così come Aronne, nel momento in cui viene minacciato di morte, preferisce che il popolo si macchi di Idolatria piuttosto che di Omicidio di un Gran Sacerdote, con pena nettamente superiore all’idolatria stessa, Aronne non rende colpevole il popolo, lo rende paradossalmente meno colpevole; Cosi anche Hashem è disposto a cancellare il suo nome nelle acque amare, questo atto di abnegazione viene fatto al fine di poter ripristinare l’unità matrimoniale. Se una persona trasgredisce, le acque amare gli causano danno, ma se si è puri, le acque amare portano grande berachà, l’acqua in sé non è positiva o negativa ma acquisisce valore in base a ciò che è dentro di noi, in base al nostro modo di usarla. Quindi anche una cosa che apparentemente può arrecare danno, trasformandola, può portare grande berachà. Ogni trasformazione deve considerare sempre gli errori che sono stati compiuti come dimostrazione di essere cresciuti ed aver imparato, le macerie delle vecchie Tavole dovranno essere conservate insieme alle tavole intere, perché anche le pietre dei nostri sbagli possono essere usate come Pietre Miliari del nostro Palazzo Spirituale e Materiale.

Shabbat Shalom