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Di Marco Del Monte

“Ora se perdonerai il loro peccato[bene]; altrimenti cancellami dal Tuo libro che Hai scritto” (Es 32,32)

Nella Parashà si parla del peccato del vitello d’oro, della rottura delle Tavole della legge e della successiva intercessione di Moshè con Hashem per far perdonare il Popolo d’Israel.

Perché Moshè sceglie proprio questa frase? Quale tipo di arringa difensiva è quella di perdonare il popolo oppure cancellarlo dal Libro?
Nella vita quotidiana ci troviamo di fronte ad alcune situazioni in cui l’esecuzione di alcune Mitzvot ci risulta più facile ed altre, invece, la messa in pratica di alcune azioni ci risulta più difficile. In particolare, alcuni atti, nella loro esecuzione, ci danno una forte emozione ed altri, invece, che ci risultano meno suggestivi, perché questo? Spiegano i Chachamim che quelle azioni a cui siamo particolarmente legati, e che ci fanno provare forti sentimenti, derivano da una memoria ancestrale dell’anima riferita ad una reincarnazione precedente in cui si sono verificate due possibili situazioni: o si era particolarmente attaccati a quella Mitzvà e si metteva in pratica in tutti i suoi dettagli, e quindi l’anima ricorda con nostalgia ed emozione la sua esecuzione, la quale risulta anche più semplice; oppure era una Mitzvà che non si metteva per nulla in pratica, e quindi l’anima, stabilendo un patto con Hashem prima di venire in questo mondo, si impegna a cercare di compiere proprio quell’azione che gli causava una mancanza nei mondi superiori, e quindi da qui deriviamo la spiegazione della forte sensazione di necessità e volontà che si prova nell’eseguire quella determinata azione.
Scrive Rav Yoram Michael Abargel ZZ”L nel suo commento Imrè Noam (Parashat Ki tissà, maamar zain) a nome dello Zoar, che, quando Noè uscì dall’arca e vide la devastazione del mondo chiese a Kadosh Baruch Hu come sia potuto accadere tutto questo. Hashem risponde a Noè: “Adesso ti ricordi di dire questo?! Perché non hai interceduto per il mondo quando ti ho detto che avrei mandato il diluvio”?
Il lettore a questo punto potrebbe domandarsi qual è il legame tra la frase che dice Moshè nella nostra Parashà, la memoria dell’Anima e Noè? Rispondono i Chachamim che la frase che dice Moshè “Mecheni Na” “Cancellami dunque”, è l’anagramma di “Ani MiNoach” “Io sono (da) Noach”, e anche la parola stessa “Mecheni” “Cancellami” è l’anagramma di “Mè Noach” “Le acque di Noè”, riferito al diluvio universale. Sembra che una parte di Anima di Noè si sia reincarnata in Moshè. Questa Anima sapeva che ciò che gli provocava una “mancanza” nei mondi superiori era proprio il fatto di non aver interceduto con la preghiera affinché si perdonasse il peccato di un popolo totalmente corrotto. L’ Anima di Moshè, e quindi anche di quella di Noè, “ricordava” cosa dovesse aggiustare, e questa volta ci riesce, salvando non solo il popolo ma anche la sua Anima. Non a caso l’arca di Noè e la culla di Moshè vengono chiamati nello stesso modo “Tevà”. Quindi un ulteriore grande insegnamento ci presenta la Parashà: chi intercede per gli altri, porta automaticamente berachà anche a sé stessi!
Con L’augurio di essere tutti noi iscritti nel Libro della Torà!!!!

Shabbat Shalom