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Di Marco Del Monte

In questa Parashà vengono descritti gli abiti del Cohen Gadol e del Cohen Semplice.
In particolare troviamo l’ordine di porre sul Cohen, 12 Pietre con i nomi dei Figli d’ Israel sul Pettorale, sul cuore, ed altre 12 divise in due gruppi da 6 su ogni spalla.

La spiegazione più conosciuta è quella che un Manhig, una guida, deve avere sulle sue spalle il “peso” della gestione del popolo ma sempre tenendo a cuore ogni questione. A volte ci si fregia della bellezza di una posizione di prestigio, rappresentata dalla bellezza delle pietre ornamentali, ma non si dovrebbe mai togliere dalla mente la consapevolezza della grande responsabilità del bene degli altri e non il proprio.
Rav Yona Metzgher, nel suo shiur sulla Parashà, riporta un interessantissimo commento del Ramban, Rabbì Moshè Ben Nachman.
Si chiede il Nachmanide perché ci sia bisogno di mettere due volte le pietre con i nomi dei Benè Israel sul Cohen? E perché queste pietre vengono chiamate con nomi differenti, cioè “Even Hashoam” per le spalle ed “Even Miluim” per il cuore? Sembra che la struttura delle pietre sia stata differente: Pietre ben lavorate, scolpite e lucidate per porre sulle spalle; mentre sul cuore dovevano andare pietre più grezze, non lavorate, allo stato naturale. Spiega Rav Metzgher la figura del Cohen doveva confrontarsi con due tipi di problemi: Alcuni che si potevano risolvere attraverso l’intervento del Cohen ed altri, purtroppo, che erano al di sopra delle sue potenzialità. Questo simboleggiano le pietre: un tipo ben lavorato e sistemato, rappresenta i problemi che attraverso l’azione possono essere risolti, cioè, lavorati, puliti, lucidati etc; L’altro, grezzo, non lavorato, rappresenta i problemi non risolvibili, non lavorabili. Chi è questa figura del Cohen di cui si parla? E’ riferita solo ad un manhig, una guida? Io credo che ognuno di noi si considerato Cohen come è scritto in Esodo 19,6: “E voi sarete per me un Regno di Sacerdoti ed un popolo Santo-Distinto”. In questa società sempre più individualista, ognuno dovrebbe ricordarsi di essere come un Cohen, e saper ascoltare il prossimo, non solo raccontare al prossimo di sé, ma saper ascoltare attivamente ed interessarsi dell’altro, come è scritto Shemà Israel, Ascolta Israele! Quante volte proviamo a raccontare qualcosa di noi perché ci fidiamo dell’altro e vogliamo aprire le nostre esperienze ed emozioni, e quanto è bello in quell’occasione essere ascoltati. Quante volte, invece, raccontando qualcosa di noi, l’altro inizia a raccontare di sé? Quante volte si è distratti da sé, e si risponde con frasi di circostanza ad una considerazione del prossimo, dimostrando che nemmeno lo si sta ascoltando, o se si ascolta non si capisce e comprende quello che vuole dire e si risponde con frasi che dimostrano un accentuato analfabetismo emotivo e comprensivo?  L’emozione che si prova è molto avvilente. Questo credo ci dica la Parashà, non solo dobbiamo ascoltare gli altri ma, se possibile, prendere sulle nostre spalle quei sassolini che le persone tirano fuori dalle proprie angoscie, e lavorarli, cioè, cercare di aiutare a risolvere il problema dell’altro. Altre volte, quando il sassolino che ci mostrano non è lavorabile, non è risolvibile da noi, basterebbe metterlo sul pettorale, sul nostro cuore, dimostrando interesse per il prossimo, sapendo e considerando che quel sassolino io non potrò lucidarlo ma che in ogni caso sarà presente nel mio cuore, cercando di ascoltare e dimostrare che per me la persona che si confida è importante ai miei occhi: Già questo sarà un modo per alleviare il peso dall’animo del prossimo. Quando Kadosh Baruch Hu vede che noi ci occupiamo degli altri, misura per misura, Lui stesso si occuperà di noi. Scrivono i Chachamim che chi prega per risolvere un problema dell’altro, e lui stesso ha quel problema, Hashem stesso risolverà il problema alla persona che prega.
Non a caso esiste un detto in Israele che dice, nel caso di un grande sollievo, che ci si è tolti una pietra dal cuore (Lehorid Even Min Halev).
Ovviamente nella Parashà si parla anche della Menorà, come immagine di autoprotezione di noi stessi, perché come insegnava il mio Rav, Rav Jehudà Kahaloun ZZ”L bisogna anche saper dare la nostra luce e non il nostro olio!
Con l’augurio che ognuno di noi possa gioire della bellezza delle Pietre lavorate, lucide, splendenti!

Shabbat Shalom Umevorach