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Di Marco Del Monte

Shabbat Haggadol

Nella Parashà della settimana si continua a parlare della Tzaraat, questa malattia spirituale, potremmo dire psicosomatica, causata dalla trasgressione della maldicenza.
Negli anni bisestili come questo, di solito la Parashà si legge prima di Pesach. Quale può essere dunque il legame fra la Tzaraat e Pesach?

Nella Parashà leggiamo che uno degli atti di purificazione del lebbroso consisteva nel sacrificio di due uccelli. il Talmud si chiede come mai si sceglie proprio questo particolare tipo di animale per purificarsi dalla Lashon Harà? “Rabbi Yehuda ben Levi dice: Cosa c'è di diverso e notevole in un lebbroso, per cui la Torah afferma che deve portare due uccelli per la sua purificazione ( Levitico 14:4 )? Il Santo, Benedetto sia, dice: Ha agito pronunciando parole maligne con un atto di chiacchiere; perciò la Torah dice che porterà un'offerta di uccelli, che cinguettano e chiacchierano continuamente” (masechet Arachin 16 b). Non solo questo ci insegna il Talmud ma anche che così come il maldicente vuole creare divisioni all’interno del popolo, misura contro misura, lui stesso verrà separato e allontanato dal popolo. Secondo la tradizione ebraica I discorsi che si pronunciano possono essere di due categorie: discorsi proibiti, come il lebbroso che proferisce calunnie; e discorsi permessi i quali non solo sono raccomandati ma divengono persino obbligatori da pronunciare, come i discorsi sulla Torah e sulla preghiera o discorsi che uniscono una persona ad un'altra.
In questo senso mi sembra che Pesach rappresenti l’anti-Tzaraat: la festa per eccellenza in cui l’uso della bocca viene impiegato in forma estremamente sacra. Il termine stesso Pesach può essere letto come “Pe-Sach” cioè la bocca che racconta, la bocca che tesse le lodi di Hashem ed è felice e si accontenta di qualsiasi cosa Hashem gli manda, e anche se non mandasse di più… Dayenu! Moshè, l’uomo con difficoltà di parola, paradossalmente verrà salvato da una culla chiamata in ebraico “Tevà”, cioè, “Parola”: La parola salverà Moshè e tutto il popolo, così come Noè entrò nell’arca, chiamata con lo stesso nome, Tevà, per salvare l’uomo dalla distruzione. Non a caso sostengono i chachamim che Mosè fosse la reincarnazione di Noè.
Ecco che Pe-sach, la bocca che racconta, sarà quella che distruggerà il Faraone, in ebraico “Parò”, termine che anagrammato dà “Pe-Rà” cioè la bocca malvagia, la lingua biforcuta, quella che è divisa in due nella sua forma, proprio perché divide, separa. Non solo di Pesach santifichiamo ciò che esce dalla bocca ma, ovviamente, anche ciò che ci entra: si pensi a tutto l’impegnativo iter dei giorni precedenti a Pesach, solo per mangiare una settimana senza chametz, senza quella sostanza lievitata rappresentante la lievitazione dell’ego. Non ci si divide a Pesach ma chiunque ha fame venga e mangi insieme, anche se è un Rashà! Nonostante sia molto difficile, e onestamente frustrante, non si dovrebbe rimuginare su parole cattive e sulle cattiverie delle persone cercando di vendicarsi utilizzando la loro stessa arma, poiché così faremmo fuoriuscire la parte peggiore di noi stessi. Anche se può essere faticoso, a volte, la cosa migliore è passare oltre…Ah, giusto! Pesach viene da Pasoach, cioè passare oltre!
Shabbat Shalom Umevorach ePesach Kasher VeSameach!
Buon Passaggio!