Signor Ambasciatore Kola, Signora Ministro Turku, autorità, amici tutti, siamo giunti alla X edizione della Giornata della Memoria. Vorrei fare alcune considerazioni su questo evento che vede scuole, enti pubblici, associazioni riflettere e dare rilievo al ricordo della Shoah.
La prima considerazione naturalmente è che questo è un evento positivo perché riflette la percezione ottimistica che si possa imparare dalla storia e influenzarne in meglio il suo corso futuro. La Torah (Deut 32,7) insegna: “Ricorda i tempi antichi, cercate di comprendere gli anni dei secoli trascorsi (cioè il corso della storia diremmo noi oggi), interroga tuo padre e ti racconterà, i tuoi vecchi e te lo diranno”. L’ebraismo ha sempre avuto un forte senso della storia (insegnamento di Rav Della Rocca) e non crede che il passato sia qualcosa di inutile, ma bensì esso è un ingrediente essenziale per affrontare il futuro. A differenza della saggezza di Plutarco, secondo cui la storia si ripete, il pensiero ebraico pensa che la storia si possa indirizzare, e che le nostre azioni spingono il mondo verso il bene o verso il male. Dunque la Giornata della Memoria è un’occasione per trarre dal passato notizie e principi che ci portino a un futuro più umano.
La seconda considerazione è che mano a mano che la Shoah è più lontana nel tempo e sono sempre meno i testimoni, con la loro capacità di trasformare con esempi concreti e pathos numeri e informazioni tanto terribili da essere difficili da interiorizzare, occorre trovare un modo per continuare a ricevere l’insegnamento di questo passato e per continuare a trasmetterlo, un po’ come da 25 secoli fa il libro di Esther sulle storie delle persecuzioni di quei tempi.
Dunque noi non indugiamo nella memoria, ma crediamo che essa sia necessaria per un futuro migliore. Per questo dobbiamo ragionare su come preservare il suo messaggio universale nel tempo, e al contempo vigilare perché tale messaggio non sia banalizzato e abusato.
Il Museo e la Comunità da anni cercano di trovare mezzi per far conoscere questi temi attraverso la cultura, e di trovare percorsi personali o di intere comunità che aiutino alla riflessione e diano spunti per il futuro, offrendoli alla città. In questo contesto si inserisce la mostra Besa sugli Albanesi che salvarono gli ebrei. Questa storia non solo ci offre ritratti di una umanità memorabile, ma ci apre molte strade di riflessione: riflettiamo su come aprirsi a chi è in fuga e in difficoltà non è facile, e comporta dei rischi, ma è nobile e giusto. Riflettiamo, nel giorno della memoria, che il vessillo del totalitarismo fu tenuto alto con indicibile inumanità dal nazifascismo, ma esso fu poi raccolto nella seconda metà del ‘900 dal comunismo, e oggi esso viene perpetuato dall’integralismo religioso. Esso ha metodi e propaganda analoghi ai suoi predecessori e forte contiguità ideologica con essi. Come gli altri totalitarismi crede di fermare lo scorrere del tempo e della storia e sottomettere lo spirito di libertà degli uomini. Come gli altri fallirà. Se è ben vero che esiste un integralismo in tutte le religioni e che siti internet di integralisti ebrei, cristiani, hindù e di altre fedi ci mostrano pericolose correnti di pensiero, oggi non possiamo tacere che il vento integralista e totalitario soffia forte nel mondo islamico. Eppure il mondo islamico è complesso e poco conosciuto, ha al suo interno correnti laiche e di ribellione a un modello politico ed economico che non funziona. Molte persone emigrano in occidente, e affrontano difficoltà d’integrazione notevole, perché cercano di realizzare i loro sogni in una società laica. Questa mostra fornisce esempi di uomini prima di tutto, ma di uomini che vivono la loro fede attraverso l’islam, e che non vedono chi ha bisogno attraverso il filtro di un’ideologia, ma solo come un perseguitato, e lo aiutano.
Israele è stato il primo paese, già dal 1992, a abolire i visti per l’Albania, ed uno dei primi a portare aiuti nel Paese delle Aquile, così come oggi fa con Haiti. La gratitudine per la storia che trovate illustrata in questa mostra è ancora viva, e l’immagine, talvolta distorta, che abbiamo dell’Albania esce qui nobile e degna di rispetto.
Un rabbino tedesco, rav Marcus Lehman di Magonza, insegnava nella seconda metà del 1800 che a Pasqua leggiamo: Avadim aynu le’pharo bemizraim – fummo schiavi di Faraone e dell’Egitto. Perché la bibbia, sempre parca di parole, dice “di Faraone e dell’Egitto”? Non bastava citarne uno solo? No, ci insegna con preveggenze questo rabbino tedesco, per attecchire il male e la persecuzione hanno bisogno del leader, della struttura politica e della connivenza del popolo. Nei Paesi dove i capi furono silenziosi, paurosi o crudeli, e dove le persone furono incapaci di porsi quesiti morali, il nazifascismo fece molte vittime, in quei Paesi dove i leader politici e religiosi seppero tenere sveglie le coscienze, e dove le persone seppero vedere i perseguitati col volto del loro prossimo, la persecuzione fu assai meno efficace.
Martin Luther King ha detto: “Il criterio definitivo per giudicare il valore di una persona non è il livello di benessere e di agiatezza che abbia raggiunto in un momento qualsiasi della sua vita, ma il livello del suo impegno sociale nell'ora della sfida e della controversia”, questo è il metro con cui guardiamo agli uomini e alle donne protagonisti di questa mostra e al loro Paese, l’Albania, e le persone ed il Paese ne escono con onore. Questo è il metro con cui vogliamo confrontarci nelle nostre azioni, e che dovrebbe essere seguito da ogni confessione religiosa nel fornire modelli e insegnamenti di fronte all’integralismo.
Grazie mille.