Di Rav Alberto Sermoneta
L’inizio della parashà ci mostra il vero carattere di Abramo, motivo che aveva indotto il Signore a scegliere lui come colui che sarebbe stato il capostipite del monoteismo e soprattutto dell’ebraismo.
Abramo, dopo aver accolto in casa sua i tre Angeli, con il dovuto rispetto ed onore, viene messo a conoscenza di due cose che il Signore Iddio sta per fare:
la prima è che di li ad un anno egli sarebbe divenuto padre di un figlio nato dall’unione fra lui e Sara: Isacco.
L’altra è che i due Angeli rimasti sarebbero andati a distruggere le due città - Sodoma e Gomorra, perché giunte ad un livello di comportamento talmente basso, che non c’era per loro alcuna speranza di salvezza.
Mentre per la prima notizia Abramo non esterna manifestazioni, anzi sorride in cuor suo pensando che non sarebbe mai potuto diventare padre a quella età, ma non dice nulla per non mancare di rispetto a D-o; per la seconda notizia egli inizia una trattativa lunga e sofferta con D-o, per metterLo nella condizione di salvare le due città.
In questo dialogo drammatico, la Torà ci mostra la grandezza di quest’uomo, che riesce persino a sfidare D-o, con la speranza che Egli ritorni sulle Sue posizioni ed in grazia di dieci giusti (inizia la trattativa da cinquanta, scendendo fino a dieci), possa salvare le due città.
La figura dello zaddik – il giusto è quella di tentare al massimo di salvare delle vite umane, ed Abramo per far questo mette a repentaglio persino la sua vita.
Questa è una delle pochissime volte in cui assistiamo ad un lungo dialogo da parte di Abramo, il quale non risparmia parole, per salvare la vita dell’uomo.
In altre occasioni assistiamo ad un comportamento di quasi assoluto silenzio, in cui vediamo quest’uomo che esegue i precetti divini o fa azioni verso i suoi simili senza controbattere (c’è una opera letteraria di Kierekgaard, famoso filosofo danese, intitolata “il silenzio di Abramo).
Lo zaddik fa e parla poco; colui che parla molto e fa poco è uno stolto ed un rashà – un malvagio.
Shabbat shalom