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Di Rav Alberto Sermoneta

La parashà inizia con il ritorno a casa di Giacobbe, dopo aver trascorso oltre venti anni di lontananza da suo padre Isacco.
Il suo insediamento nella terra di Canaan diviene, almeno per molti anni definitivo, fintanto che non tornerà ad abbandonare nuovamente la terra di Canaan, per scendere definitivamente, fino alla sua morte in Egitto.
Le parole con cui la parashà inizia sono particolarmente strane:
“ Va jeshev Ja’akov be eretz megurè aviv, be eretz Chenaan, elle toledot Ja’akov Josef….- e Giacobbe si stabilì nella terra dove aveva abitato suo padre, nella terra di Canaan, queste sono le discendenze di Giacobbe, Giuseppe…”


Sembra quasi, apparentemente, che la Torà abbia fretta di terminare la storia di Giacobbe – Israele, per iniziarne un’altra, quella di Giuseppe.
In realtà non è così, perché anche Rashì, commentando il brano, insegna che è scritto in questo modo, a causa del fatto che la stessa storia di Giacobbe, si ripete attraverso suo figlio Giuseppe:
Giacobbe dovette abbandonare forzatamente la casa di suo padre a causa delle possibili ritorsioni di Esaù, dopo l’episodio della primogenitura; Giuseppe, come prima suo padre, visse venti anni lontano da tutti, senza che nessuno sapesse più nulla di lui; è costretto a sposare una donna della Golà (anche se secondo la maggior parte dei commentatori, la donna che Giuseppe sposerà in Egitto, non sarebbe altri che la figlia della sua sorellastra Dina, che dopo ciò che era avvenuto a Shechem, a causa dei suoi fratelli Simeone e Levi, fu costretta ad allontanarsi dalla casa paterna) e ad avere dei figli che vivranno esclusivamente in Golà.
La storia che la Torà descrive di Giuseppe, in questa parashà è particolarmente affascinante, ma soprattutto piena di contenuti umani, cioè: Giuseppe in tutto quello che fu il suo comportamento in Egitto, da quando viene venduto come schiavo, a quando viene insignito del titolo di Viceré, non mette mai in risalto la sua immagine, ma il merito maggiore è quello di attribuire tutti i successi del suo operato alla volontà divina.
Avrebbe ad esempio potuto farsi grande agli occhi del Faraone, quando interpreta i suoi sogni, dicendo di essere lui stesso ad interpretarli, mentre platealmente rivela al Faraone che è la volontà divina a voler svelare a lui il futuro di quella potente nazione ed i pericoli a cui sarebbe andata incontro.
E’ per questo che i Maestri gli danno l’appellativo di Zaddik – il giusto, nonostante egli trascorra gran parte della sua vita in condizioni non proprio da giusto…..
Una interpretazione Chasidica del verso con cui inizia la parashà “ e queste sono le discendenze di Ja’akov Josef, spiega che questo deve essere per tutti gli ebrei, il comportamento da tenere nel corso della propria vita, ossia: il nome Josef vuol dire “aumentare” e tutti gli ebrei sono Jaakov ( Israel).
Nel momento in cui noi cresciamo, ci affermiamo, mettiamo al mondo dei figli, aggiungiamo qualcosa alla santità del nostro popolo.
Per cui, Josef vuole essere inteso, non solo come un nome proprio di persona ma anche l’incentivo a migliorare sempre di più il nostro status di ebrei, per essere sempre di più un esempio per gli altri popoli.
“A’ Eloè avitekhem Josef ‘alekhem elef pe’ammim -. Il Signore D-o dei vostri padri aggiunga su di voi (qualcosa) aumentandola mille volte, benedicendovi” (Deuteronomio,1)

Shabbat shalom e Chag Chanuccà sameach