Di Rav Alberto Sermoneta
Il quinto ed ultimo libro della Torà, è chiamato Devarìm, dalla prima parola con cui esso inizia.
Il termine Devarìm significa "Discorsi, parole" in quanto esso raccoglie una serie o (secondo alcuni) un lungo discorso che Moshè rivolge al popolo, prima di commiatarsi definitivamente da esso.
Non c'è ombra di dubbio che questi siano discorsi duri che il Rav rivolge a tutto il popolo e, come un padre con i propri figli, in punto di morte, li mette in guardia su quello che deve essere il loro comportamento. Contrariamente a ciò, le conseguenze di un atteggiamento lontano dall'osservanza della Torà, lo porterà verso la rovina.
Questo Shabbat è quello che precede il digiuno del 9 di Av, in cui si fa lutto per la distruzione del primo e del secondo Tempio di Gerusalemme. La distruzione di esso va intesa come la perdita dell'indipendenza del popolo; esso era il punto di riferimento, il centro delle attività politico, religiose, amministrative. Quel luogo dove tutto il popolo si accentrava e si ritrovava in ogni momento, positivo o negativo della propria vita istituzionale.
Fanno notare i commentatori che, nel momento della rivelazione di D-o a Moshè, nell'episodio del "roveto ardente" (Shemòt capp. 3 - 4), Moshè, nel rifiutare la missione affidatagli dal Signore, esprime le seguenti parole:
"Lo ish devarim anochi - Non sono io un uomo di discorsi".
Ironia della sorte, sarà proprio lui, oltre che a far liberare il popolo dall'Egitto, insegnare loro la Torà, anche scrivere tutto un libro che verrà chiamato Devarìm - Parole, Discorsi.
Non c'è ombra di dubbio: quando il Signore ha un disegno da attuare, nessuno può controbattere o ritrarsi dal Suo destino!
Shabbat Shalom