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Di Rav Alberto Sermoneta

La parashà di Itrò può essere considerata la parte fondamentale di tutta la Torà, poiché in essa si trova quello che può essere definito “il cuore” della Torà, cioè I Dieci Comandamenti.
Aseret ha Dibberot – le dieci parole, i dieci discorsi, in questo modo, sono conosciuti nel testo della Torà in ebraico e da esse, dipendono poi i concetti di tutte le mizvot che saranno comandate successivamente, quando, dopo la promulgazione sinaitica, Mosè salirà sul Monte Sinai a ricevere le Tavole di Pietra, insieme a tutti gli altri precetti.
Le tavole di pietra secondo la tradizione ebraica sono due, e contengono: nelle prime i comandamenti che riguardano il rapporto fra uomo e D-o; nelle seconde quelli che regolano il rapporto fra l’uomo e il suo prossimo.

Fanno notare i nostri Maestri, che, se nei primi cinque comandamenti, troviamo mizvot ‘asè (precetti positivi) e mizvot lo ta’asè (mizvot che esprimono un divieto – non fare),
nella seconda tavola, troviamo soltanto mizvot lo ta’asè.
Questo, secondo un’interpretazione rabbinica, con il nostro prossimo, noi abbiamo il dovere di comportarci in modo rigoroso ossia, cercando di rispettarlo al massimo.
Nelle seconde tavole, noi troviamo dei divieti di cose gravi: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare ecc.
Questi cinque divieti, sono considerati le cose peggiori che un uomo possa fare nei confronti del prossimo tanto da provocargli, soltanto uno di essi, una morte morale e psicologica.
Nel libro dei Salmi, troviamo scritto:
“Poiché Tu oh Signore non gradisci la malvagità, il male non dimorerà in Te”;
leggendo attentamente il testo delle seconde Tavole, non compare mai il nome di D-o.
I Rabbini sostengono che il motivo di ciò sta proprio nel fatto che questi secondi cinque Comandamenti, esprimono una condizione di vita, talmente bassa moralmente, talmente dannosa all’uomo, che D-o stesso non vuole comparire.


Shabbat shalom