Questo sito usa i cookie di terze parti per migliorare i servizi e analizzare il traffico. Le info sulla tua navigazione sono condivise con queste terze parti. Navigando nel sito accetti l'uso dei cookie.


Di Rav Alberto Sermoneta

Già dallo scorso shabbat, sabato che segue la festa di Pesach e per sei sabati consecutivi, ci accingiamo a leggere i “pirkè avot”.
Essi sono una serie di sei capitoli della Mishnà e precisamente del trattato di Avot che si trova alla fine dell'”Ordine dei Danni”.
La Mishnà è divisa in sei ordini ed ogni ordine in trattato; ogni trattato – massekhet- è a sua volta suddiviso in perakim-capitoli- ed è per questo che il trattato in questione conosciuto dalla Mishnà come “massekhet avot” “trattato dei padri, viene anche chiamato “pirkè avot- capitoli dei padri e meglio conosciuto come “Le massime dei padri”.

Il trattato di Avot, in verità, comprende cinque capitoli, il sesto può essere definito apocrifo e va sotto il nome di “perek deRabby Meir” (capitolo di Rabby Meir) in quanto nella maggior parte di esso, si fa riferimento a sue massime e suoi insegnamenti.
Questi sei capitoli, vengono letti nei sabati che intercorrono da Pesach a Shavuot, quasi fosse un conto alla rovescia fino a quella festività, chiamata “epoca della nostra Torà” e la lettura dei pirkè avot, fosse una sorta di preparazione al ricevimento della Torà.
Ogni capitolo di questo trattato viene suddiviso in tanti paragrafi chiamati “mishnajot” (plurale di mishnà che significa insegnamento).
Una mishnà particolarmente bella del primo capitolo, letto shabbat scorso è la mishnà n°7 che dice:
“Nittaj l'arbelita sostiene: allontanati dal cattivo vicino, non unirti con il malvagio e non rinnegare la punizione”.
Si chiedono i nostri Maestri, quale realmente sia lo scopo della milà; essa sin dai tempi dei Patriarchi è considerata un “patto eterno” fra D-o, creatore del mondo e il popolo di Israele, patto, stipulato con Abramo ed attuato di generazione in generazione fino a noi oggi.Questa mishnà necessita di una spiegazione e cioè:
Ovadià da Bertinoro, il più famoso commentatore della Mishà, spiega che il cattivo vicino è colui che disprezza lo studio facendo cose che provocano danno a se stesso ed al prossimo, per cui non fare con lui alcun tipo di combutta.
Non unirti al malvagio, viene spiegato che, nonostante non faccia le stesse cose del malvagio, colui che si unisce ad esso, viene considerato tale, perchè un giorno finirà con il comportarsi come lui.
Non rinnegare la punizione cioè nel momento in cui ci si unisce alle opere del malvagio, si finisce per ricevere la stessa punizione riservata a lui.
C'è inoltre chi spiega questo ultimo passo dicendo che, se tu sei una persona ricca, non farti scudo della tua ricchezza trincerandoti dietro di essa e disinteressandoti di tutto il resto (studio, opere buone, osservanza delle mizvot ecc.) perchè un giorno sicuramente te ne verrà reso conto.
Sii dunque timoroso sempre e in ogni momento della tua vita, come ci insegna il libro dei Proverbi: “beato colui che ha sempre timore” perchè esso non cadrà mai nella rete dei malvagi.

Il capitolo che leggeremo invece questo shabbat è il secondo ed una Mishnà assai interessante è la
n°5; essa dice:
“Egli (Hillel citato nella Mishnà precedente) soleva dire
Lo stolto non teme il peccato, né l'ignorante può essere un pio, il timido non studia, né l'iroso può insegnare.
Chiunque si dedica troppo al commercio può diventare saggio e dove non ci sono uomini, fa del tutto per esserlo tu”.
Perché lo stolto non teme il peccato? Perché no avendo studiato ed essendosi evoluto nello studio della Torà e nell'osservanza delle mizvot, non può conoscere i limiti del comportamento dell'uomo.
L'ignorante però, anche se non sa cosa è la bontà, è ugualmente timoroso di commettere il peccato e quindi si trova in una categoria diversa dal primo.
Perché il timido non studia?
La tradizione ebraica, vuole che chiunque abbia volontà di conoscere, ha il dovere di fare domande e tanto più sono le domande da lui formulate, tanto più si arricchisce la sua cultura.
Chi è timido, chi si vergogna di porre le domande e quindi non può approfondire la sua cultura.
E' un po' come il quarto figlio della Haggadà di Pesach a cui però abbiamo il dovere, sia come padri sia come maestri di aprirgli la bocca, ossia incuriosirlo al punto tale di stimolare la sua capacità di interesse.
Dove non ci sono uomini adoperati ad esserlo tu.
Quante volte ci capita di trovarci in una situazione particolarmente difficile da cui non vediamo via di uscita, perchè non ne siamo all'altezza; vorremmo che qualcuno, magari più esperto di noi ce ne tirasse fuori.
Ecco in quel momento i Maestri della Mishnà ci esortano a prendere in mano la situazione e fare in modo di uscirne nel miglior modo possibile.

Shabbat Shalom